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Perché acuto è piccolo

SteenVision (crediti: Carol Steen)Una ricerca di Valerio Parise, dottorando dell’Università di Oxford, offre nuovi suggerimenti sull’origine e la funzione della sinestesia


A nera, E bianca, I rossa, U verde, O blu: vocali,
dirò un giorno le vostre nascite latenti,
A, delle mosche neri pelosi corsali
Che ronzano su crudi fetori, splendenti […]

Arthur Rimbaud

I versi di Rimbaud evocano in poche parole quello che è ancor oggi quasi un mistero per psicologi e neuroscienziati: la sinestesia. I sinesteti sono persone che letteralmente “confondono” i sensi: un suono per loro può evocare un colore, un colore una sensazione tattile o termica e così via. In realtà, in qualche misura siamo tutti capaci di provare sensazioni sinestesiche, come dimostra la potenza evocativa della poesia di Rimbaud, ma per alcuni l’esperienza è così vivida e reale che una melodia può addirittura diventare un susseguirsi di sapori. Da tempo gli scienziati si chiedono quale sia l’origine evolutiva di questa peculiarità sensoriale e una ricerca pubblicata di recente sulla rivista PLoS One getta nuova luce sulla sua funzione.

Valerio Parise, dottorando dell’Università di Oxford che attualmente lavora al Centro Interdipartimentale Mente e Cervello (CIMeC) di Trento, e Charles Spence hanno analizzato le risposte comportamentali di persone non sinestete in presenza di stimoli che evocano un particolare tipo di sinestesia.

Studi precedenti hanno infatti dimostrato che normalmente tutti tendiamo ad associare un suono acuto a un oggetto di dimensioni piccole, e uno grave a qualcosa di più grosso – la classica immagine del chihuahua che guaisce veloce e del bulldog che invece emette ringhi bassi e potenti -. Sfruttando questa tendenza comune i due ricercatori hanno presentato ad alcuni volontari coppie di suoni e immagini che potevano essere temporalmente asincrone o spazialmente disallineate. I soggetti dovevano indicare quale era stato l’ordine di presentazione o la posizione spaziale relativa dei due elementi sensoriali. Le coppie potevano essere congruenti dal punto di vista della sinestesia (suono acuto/oggetto piccolo, suono greve/oggetto grande) oppure non congruenti (suono acuto/oggetto grande, suono greve/oggetto piccolo).

Parise e Spence hanno osservato che la presenza o meno della sinestesia influenzava fortemente la performance: in pratica la prestazione dei soggetti era più precisa – cioè indicavano più correttamente quale era stata la sequenza temporale o spaziale degli stimoli – per le coppie non congruenti. Secondo gli scienziati questo significa che le coppie congruenti formavano delle unità sensoriali più strette delle altre e questo impediva la corretta valutazione del susseguirsi, o dell’allineamento, oggettivo dei due componenti della coppia. Questo dato è il primo che conferma che la sinestesia potrebbe servire per facilitare la normale integrazione multisensoriale degli stimoli raccolti dal nostro apparato percettivo.

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Federica Sgorbissa
Federica Sgorbissa è laureata in Psicologia con un dottorato in percezione visiva ottenuto all'Università di Trieste. Dopo l'università, ha ottenuto il Master in comunicazione della scienza della SISSA di Trieste. Da qui varie esperienze lavorative, fra le quali addetta all'ufficio comunicazione del science centre Immaginario Scientifico di Trieste e oggi nell'area comunicazione di SISSA Medialab. Come giornalista free lance collabora con alcune testate come Le Scienze e Mente & Cervello.