AMBIENTE

Chernobyl, uno studio svela gli effetti sugli uccelli

Quello che successe il 26 aprile del 1986 è storia. Quella notte si verificò l’incidente nucleare più grave dell'umanità

AMBIENTE – 550 uccelli di 48 specie diverse che vivono nella zona di Chernobyl, in Ucraina, hanno un encefalo più piccolo del 5 per cento rispetto a conspecifici provenienti da aree di controllo. Lo studio, pubblicato su PlosOne (una rivista open access), è di Anders Møller dell’Università di Paris-Sud e di Timothy Mousseau dell’Università della South Carolina e coinvolge, come secondo autore,  il ricercatore italiano Andrea Bonisoli Alquati, che al Dipartimento di Scienze Biologiche dell’Università della South Carolina sta svolgendo il suo periodo di post-dottorato.

Cosa sia successo ai 550 uccelli analizzati nello studio è una domanda a cui il team di scienziati sta cercando di dare una risposta, anche perché il fenomeno riguarda in particolar modo esemplari giovani, solitamente al di sotto dell’anno di età. È probabile che molti embrioni non sopravvivano proprio a causa dello sviluppo anomalo del loro cervello. Non si conosce ancora da cosa dipenda e cosa regoli un meccanismo di sviluppo così anomalo.

È noto che gli uccelli in situazioni di stress possano modificare la dimensione dei loro organi come tentativo estremo di adattarsi  a situazioni ambientali particolarmente severe, o nel caso di lunghe migrazioni. Ma il cervello è sempre l’ultimo organo a venire “utilizzato”.

Per ora si fanno ipotesi. L’esposizione prolungata alle radiazioni potrebbe causare errori nelle fasi di sviluppo del cervello. Un’altra possibilità potrebbe essere la scarsità di prede: ma i ricercatori non sanno citare nessun caso in natura in cui un minor sviluppo degli organi di un predatore sia dovuto alla mancanza di cibo. Gli stessi Møller e Mousseau nel 2007 hanno pubblicato su Biology Letters un articolo sull’abbondanza di specie di uccelli nella zona di Chernobyl in cui le conclusioni erano chiare; la ricchezza di specie, l’abbondanza e la densità di popolazione diminuivano all’aumentare dei livelli di radiazione.

Qui è necessaria una considerazione. Perché i risultati dello studio (e di altri  condotti in questi anni da Mousseau) sono in netto contrasto con ciò che all’epoca veniva dichiarato dalle autorità ufficiali secondo cui (senza nessun dato ne supporto scientifico) la radiazione aveva avuto esclusivamente l’insperato effetto di creare una sorta di riserva naturale rigogliosa, dove gli animali proliferano grazie alla mancata presenza dell’uomo, senza subire effetti negativi.

La questione è seria, secondo Bonisoli Alquati. Riguarda prima di tutto la popolazione perché i report conclusivi dell’ONU e dell’OMS mancano di dati e sono parziali.

Per quanto riguarda il numero di morti da associare direttamente all’incidente la sensazione che i report ufficiali siano parziali e’ molto forte, dal momento che non si considerano altre fonti di mortalità al di fuori dei tumori, non considerano alcun altro territorio al di fuori di quelli (Ucraina, Bielorussia e Russia attuali) maggiormente contaminati (nonostante l’indicazione che la maggior parte dei radionuclidi sia precipitata al di fuori di questi tre paesi, che ebbero la MAGGIOR CONCENTRAZIONE, ma non la MAGGIOR PARTE), e il fatto che senza nessuna giustificazione, delle stime circa la quantità di combustibile bruciato e di radioattività rilasciata i report selezionano (quasi sistematicamente) i limiti inferiori.

Per quanto riguarda gli effetti ecologici

La cosa più sconcertante è la sistematica mancanza di dati e l’utilizzo – in luogo di dati veri e propri – di osservazioni aneddotiche. Faccio un esempio: cinghiali o lupi sono stati osservati nell’area. Guarda, sono tornate persino le alci! Ergo, non ci deve essere nessun problema. I primi censimenti sistematici (nonostante gli scarsi requisiti tecnologici e la relativa facilità di conduzione) sono stati condotti dal mio capo (Mousseau) e da altri con cui collaboro e pubblicati dal 2007-2011. Molti di questi articoli avevano già allora suscitato un certo scalpore, essendo ripresi dal NYT e da National Geographic e molte altre pubblicazioni internazionali. Invariabilmente questi articoli hanno riscontrato effetti negativi su diversità e abbondanza di specie.

Quello che successe il 26 aprile del 1986 è storia. Quella notte si verificò l’incidente nucleare più grave dell’umanità. Secondo Greenpeace International gli addetti della centrale, che sorge a circa 30 km dalla cittadina di Chernobyl, volevano verificare se – in caso di perdita di potenza dovuta a un malfunzionamento – la centrale fosse stata in grado di produrre sufficiente elettricità per mantenere in azione il circuito di raffreddamento. Si trattava di un reattore del tipo RBMK, nel quale per rallentare i neutroni e favorire la reazione atomica controllata, si usa la grafite.

Il sistema di sicurezza venne disattivato per effettuare il test e la potenza fu portata al 25 per cento della sua capacità. La procedura non funzionò e la potenza scese sotto l’1 per cento. A questo punto, fu necessario aumentare la potenza ma la procedura avvenne in maniera violenta a causa del mancato funzionamento del sistema di sicurezza. Gli operatori persero il controllo del reattore, ci fu una esplosione causata da una bolla di idrogeno nell’acqua del circuito di raffreddamento. Le conseguenze furono tragiche e a distanza di 25 anni si scoprono nuovi effetti.

@Eleonoraseeing

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