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SPECIALE 150 ANNI: Ilaria Capua

SPECIALE 150 ANNI – Si presenta come “veterinaria del servizio pubblico” o come “pubblico funzionario”, ma è una ricercatrice in virologia, nota per i successi in campo scientifico e per la determinazione con la quale difende le sue posizioni sulla politica della ricerca.

Nel 2005, l’Organizzazione per l’agricoltura e l’alimentazione delle Nazioni Unite (FAO) e quella per la sanità animale (OIE) creano OFFLU, una rete di laboratori che studiano i virus influenzali degli animali a supporto dei paesi in via di sviluppo, della comunità scientifica e delle attività dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Durante una riunione a Parigi, ne affidano il coordinamento ad Ilaria Capua che ne aveva proposto l’istituzione.

OFFLU è stato il primo legame ufficiale tra medicina animale e medicina umana, reso necessario dall’emergenza sanitaria mondiale causata dal virus H5N1. Ilaria Capua è la persona giusta per affrontare questa emergenza. Ha pubblicato centinaia di articoli che insegnano a caratterizzare i vari ceppi di un virus, a creare sistemi diagnostici o a valutare l’efficacia dei vaccini. A differenza di molti colleghi europei e americani, non insegue brevetti, in compenso ha fatto una rivoluzione. Nel 1999, in Italia 16 milioni di polli erano stati abbattuti durante l’influenza da virus H7N1. Stragi analoghe non accadono più grazie a DIVA (Differentiating Vaccinated from Infected Animals), la strategia adottata poi dall’Unione Europea che permette di distinguere gli anticorpi prodotti in reazione a un vaccino (l’animale è sano) da quelli dovuti all’infezione.

DIVA è nata in un piccolo laboratorio di cinque persone all’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie – a Legnaro, vicino a Padova – che ora dà lavoro a circa ottanta persone, circa la metà pagate con fondi internazionali: «Sono diventata un’imprenditrice» dice Ilaria che ogni anno concorre con progetti per aggiudicarsi fondi  europei e mondiali, e per i miliardi di euro indispensabili per la ricerca e per la formazione di personale proveniente da altri paesi.

Questo dopo «un percorso tutto italiano» – tiene a sottolineare – «significa che siamo capaci di eccellenza». Si è laureata a Perugia, specializzata a Pisa, e dopo un tirocinio all’Istituto zooprofilattico di Perugia, ha lavorato alcuni anni in quello di Teramo, in particolare su patogeni esotici – perciò ha passato parecchio tempo in laboratori del Terzo Mondo. Come esperienza, non sarebbe bastata a far approvare la strategia DIVA alle autorità sanitarie italiane, ma dal 1995 la virologa è tra gli esperti della Commissione europea, nei comitati in cui si decide come affrontare le malattie virali di polli, mucche, maiali e pecore.

Mentre aumenta il personale del suo laboratorio sempre più impegnato in progetti internazionali e coordina l’OFFLU («noi donne abbiamo talento per il multitasking»), Ilaria cerca di superare lo steccato tra medicina veterinaria e umana in conferenze mondiali, commissioni parlamentari, vertici dei ministri della sanità e dell’agricoltura. È sempre più ascoltata visto che le zoonosi – le malattie che contraiamo dagli animali – sono in aumento. Siamo in 6,8 miliardi, con circa 60 miliardi di animali di allevamento e nel mercato globale: genti e merci si spostano di continuo, i patogeni pure.

C’è un altro ostacolo da superare. Il mercato è globale anche per i brevetti su geni, proteine e altre molecole dei patogeni, tanto più se servono alla preparazione di un vaccino. Alcuni ricercatori di enti pubblici e privati aspettano per mesi, a volte per anni, prima di pubblicare le proprie scoperte che, per ottenere un brevetto, devono essere inedite. Ilaria Capua – fautrice dell’iniziativa One World, One Health  ora comune a FAO, OIE e OMS – lo trova intollerabile. Il risultato è che le autorità sanitarie in Thailandia e in altri paesi del Terzo mondo non mandano in Occidente i campioni biologici da analizzare perché temono che servano ad ottenere brevetti senza riconoscere il contributo dei ricercatori locali. «Finché non mettiamo subito i nostri dati nel dominio pubblico, siamo parte del problema», ripete lei in una conferenza del 2006 in California. Tra il pubblico c’è Peter Bogner, un filantropo miliardario che sale sul proprio aereo e va a raccogliere firme di celebrità scientifiche e premi Nobel a sostegno di un appello per realizzare la soluzione di Ilaria: una “piattaforma di condivisione” dei virus influenzali. L’appello esce su «Nature» e due anni dopo entra in funzione il GISAID (Global Initiative on Sharing All Influenza Data).

Per arrivarci, c’è voluto “un gesto di rivolta” salutato con un Three Cheers for Ilaria Capua da un editoriale della rivista «Nature», il 16 marzo 2006. Il suo laboratorio aveva appena stabilito che il virus H5N1 era arrivato per la prima volta in Africa. «Forse perché era nata da poco mia figlia, ho pensato ai bambini nati con l’HIV che per sopravvivere hanno bisogno di proteine animali» dice in un’intervista «e la carne di pollo è l’unica a non essere vietata da tabù religiosi o sociali». Bisognava informare i pochi laboratori locali affinché identificassero e sopprimessero il pollame infetto prima che l’epidemia si diffondesse. «Ma l’Organizzazione mondiale della sanità mi invitò a depositare la sequenza genetica del virus in un database ad accesso limitato (a 15 laboratori del primo mondo, ndr). In cambio avrei avuto la password per il database, sarei entrata a far parte dell’élite. Ho rifiutato».

Viene così rivelato il segreto dell’OMS e, d’accordo con i suoi collaboratori, Ilaria deposita la sequenza nella GenBank, non specializzata, ma accessibile a tutti. In una settimana la sequenza viene prelevata da oltre mille ricercatori.

Nel 2009, tutti hanno condiviso i dati sul virus da influenza suina, Ilaria Capua ha vinto la sua battaglia (ne ha altre in vista). Da sola nemmeno lei ce l’avrebbe fatta. Negli Stati Uniti, ancora ai tempi dell’amministrazione Bush, ha avuto l’appoggio di Nancy Cox, potente direttrice della divisione influenza ai Centers for Disease Control di Atlanta, e dal 2007 quello di Margaret Chan, direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità.

Aggiornamento: Il 17 aprile 2011 l’OMS le ha dato ragione: viene pubblicata una risoluzione sulla trasparenza dei dati, definita dalla stessa Margaret Chan “una svolta epocale”.

[Scritto da Sylvie Coyaud per Enciclopedia delle Donne]

Fonti, risorse bibliografiche, siti

Ilaria Capua, Idee per diventare veterinario, collana I mestieri della scienza, Bologna, Zanichelli 2008

In inglese, una sintesi del suo percorso scientifico

Video per la nomina tra le Cinque menti rivoluzionarie della scienza, 2007

L’editoriale di «Nature», 2006

Il ritratto fatto da Martin Ensenrink su «Science», 2006

(Questo posto fa parte dell’iniziativa in collaborazione con Enciclopedia delle Donne in occasione dei 150 anni dell’Unità d’Italia. Una serie di biografie di scienziate – che vengono pubblicate su entrambi i siti – che hanno dato il loro contributo alla storia della cultura del nostro paese.)

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