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Sperimentazione animale: ci vuole rigore nelle pubblicazioni

Spesso non c'è traccia del perché si sia scelto un particolare organismo, non si giustifica la divisione in gruppi e a volte a mancare sono i numeri stessi degli animali utilizzati

8223128477_b8b5e2b091_cCRONACA – Secondo una ricerca pubblicata sulla rivista PLoS Biology, gli studi preclinici effettuati sugli animali spesso mancano di tutti quei dettagli importanti che sarebbero fondamentali per altri ricercatori per valutare i lavori -e replicare gli esperimenti, garantendo la riproducibilità-, oltre a utilizzare calcoli statistici non adatti allo scopo.

Per studi preclinici si intende tutti quei test in vitro e in vivo (effettuati appunto su animali) che mirano a ottenere informazioni sulla tossicità e sulla potenziale efficacia dei farmaci, somministrati in ampie dosi. In seguito a questi test i farmaci vengono o meno selezionati per la vera e propria sperimentazione, il che ci porta a capire come la mancanza di precisione nel riportare i dati non sia propriamente una disattenzione da sottovalutare.

Le conclusioni della ricerca, condotta da David Baker, neuroimmunologo dell’Università Queen Mary di Londra, sono emerse dall’analisi di recenti paper di ricerca che utilizzano un modello animale molto sfruttato per studiare la sclerosi multipla: l’encefalite autoimmune sperimentale. Le ricerche effettuate su questi paper hanno portato alla conclusione che, nonostante vi siano linee guida per gli studi sugli animali (volontariamente istituite dalla comunità scientifica e non certo di recente comparsa), vengono largamente ignorate nonostante i numerosi endorsement ricevuti fin dall’inizio da centinaia di riviste che si occupano di ricerca scientifica.

Come ha spiegato il leader della ricerca, sono le riviste stesse che dovrebbero indirizzare (leggi: forzare) tutti gli scienziati che fanno ricerche su modelli animali a rendere noti i dettagli di tutti i procedimenti che hanno svolto, specialmente quelli che, fraintesi, potrebbero portare chi legge a errori e faziosità. Alcuni esempi? La scelta degli animali modello, le decisioni prese per assegnarli a un gruppo piuttosto che un altro, la casualità o le precise intenzioni dietro ai vari passaggi dello studio. Secondo Baker, fino a quando le norme basilari non verranno fatte rispettare con decisione non vi sarà alcun cambiamento.

Nel 2010 il National Centre for the Replacement, Refinement and Reduction of Animals in Research (NC3R) del Regno Unito ha creato ARRIVE, ovvero Animal Research: Reporting of In Vivo Experiments. Si tratta di vere e proprie linee guida per aiutare i ricercatori a identificare il modo più corretto e preciso per comunicare i dettagli delle ricerche, indirizzandoli a un livello di specificità che troppo spesso non viene rispettato. ARRIVE segue le già esistenti linee guida base che fornivano un vademecum completo sui trial clinici. Fornendo una lista di 20 punti che copre ogni fase della ricerca, dalla progettazione alle procedure sperimentali fino alla cura degli animali stessi, la speranza del NC3R era che finalmente sarebbe aumentato il rigore scientifico, considerando che dal 2010 sono stati più di 300 i giornali che si occupano di ricerca scientifica a supportare ARRIVE e le sue linee guida, dal Nature Publishing Group (NPG) fino a tutte le riviste PLoS.

Per verificare se i ricercatori (e non di meno, i giornali stessi) si fossero davvero adeguati e stessero adempiendo ai 20 punti, il team di Baker ha analizzato tutti i paper pubblicati dal NPG e da PLoS che riportavano dati e studi basati sul modello animale dell’encefalomielite autoimmune sperimentale. Gli scienziati hanno confrontato tutti i paper che erano stati pubblicati tra il 2008 e il 2009, ovvero nei due anni precedenti l’istituzione di ARRIVE, con quelli pubblicati nel biennio seguente. Come hanno riscontrato Baker e i suoi collaboratori, le linee guida istituite da ARRIVE non hanno avuto un impatto significativo sulla scelta dei dettagli tecnici da includere nei paper. Ad esempio, meno del 21% degli articoli presi in considerazione ha riportato se gli animali erano stati casualmente assegnati ai gruppi sperimentali o scelti in base a criteri ben precisi, sia prima che dopo ARRIVE. Allo stesso modo, meno del 7% degli studi forniva dettagli in merito alle dimensioni dei campioni analizzati, mantenendo dunque vaghe le informazioni che avrebbero potuto aiutare un lettore a capire se gli individui utilizzati durante l’esperimento erano sufficienti, o troppo pochi per dare risultati attendibili.

Nota positiva: il team ha notato un lieve aumento nel precisare il sesso, l’età e il numero degli animali utilizzati, specialmente nelle riviste del NPG. In un’altra analisi, il team di Baker ha riscontrato problemi con il modo in cui le statistiche venivano riportate nei paper con dati sulla encefalomielite autoimmune sperimentale. Basandosi sul modello fornito da ARRIVE sono stati analizzati 180 paper pubblicati tra l’1 dicembre 2011 e il 21 maggio 2012, calcolando in quanti di questi si parlasse diffusamente di test statistici non parametrici. Come spiega Baker, guadagnandosi la disapprovazione di molti ricercatori, i test non parametrici sono i più appropriati quando si trattano i dati sull’encefalite autoimmune sperimentale perché non presuppongono nessun assunto sulla relazione tra i vari data point (i set di una o più misurazioni effettuate su un unico individuo facente parte di una popolazione statisticamente rilevante) o sulla distribuzione complessiva dei dati.

Il team ha riscontrato che solo il 39% di tutti i paper analizzati riportavano d’aver utilizzato calcoli statistici non parametrici per elaborare i dati. Nel caso di Nature, Science e Cell, solamente il 4% dei paper indicava di aver fatto uso di questi test, e secondo Baker in questi studi è molto più probabile andare a sbattere contro falsi positivi che potrebbero indicare, ad esempio, che un trattamento del tutto sperimentale per la sclerosi multipla è efficace. Come commenta l’autore, c’è una piccolissima minoranza di medici che sostiene che i dati ottenuti dalla sperimentazione animale siano solamente spazzatura, e che non vadano mai a tradursi in veri benefici per la salute degli esseri umani. Facendo ricerca in questo modo e omettendo dati importanti o riportandoli in modo impreciso, non facciamo che assecondare quelle posizioni, accreditandole e rischiando che un’idea falsa e profondamente dannosa per tutta la comunità scientifica si diffonda.

Quello di Baker è un tipo di studio che non ha lasciato indifferente la comunità scientifica, né le riviste che si occupano di scienza: PLoS ONE ha già incluso nelle proprie linee guida che tutti i ricercatori che conducono esperimenti sugli animali riempiano una sorta di modello standard che include le linee guida ARRIVE, un tipo di requisito che PLoS Medicine aveva già reso indispensabile per la pubblicazione. PLoS Biology, invece, starebbe ancora “pensandoci su”.

Le linee guida volontarie sono molto importanti, come ha commentato Philip Campbell, redattore capo di Nature, ma le riviste devono fare passi in avanti un po’ più tangibili per implementarle con degli standard sufficientemente flessibili da essere efficaci e adatti a un ventaglio di studi molto ampio. Nel maggio del 2013 le riviste del NPG hanno iniziato a richiedere ai ricercatori di compilare un modello che comprendeva calcoli statistici e vari dettagli relativi alla sperimentazione animale, linee guida che, come spiega Campbell, sono state stabilite in collaborazione con la comunità scientifica per rispondere a quello che è uno dei più comuni problemi in termini di trasparenza (e a scanso di errori e faziosità) nelle riviste. L’impatto di queste nuove linee guida, e del giro di vite dato al metodo di “compilazione” dei dati sui paper, verrà monitorato durante il 2014 per scoprire se finalmente c’è stato un cambiamento significativo.

@Eleonoraseeing

Leggi anche: Sindrome di Rett, dove saremmo senza la sperimentazione animale

Fonte: Nature newsblog

Crediti immagine: Understanding Animal Research, Flickr

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Eleonora Degano

Eleonora Degano

Editor, traduttrice e giornalista freelance
Biologa ambientale, dal 2013 lavoro nella comunicazione della scienza. Oggi mi occupo soprattutto di salute mentale e animali; faccio parte della redazione di OggiScienza e traduco soprattutto per National Geographic e l'agenzia Loveurope and Partners di Londra. Ho conseguito il master in Giornalismo scientifico alla SISSA, Trieste, e il master in Disturbi dello spettro autistico dell'Università Niccolò Cusano. Nel 2017 è uscito per Mondadori il mio libro "Animali. Abilità uniche e condivise tra le specie".