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BPA: un componente della plastica che continua a far parlare di sè

2246763199_20e3d21d6b_bSPECIALE GENNAIO – Non possiamo fare a meno di contenitori di plastica nemmeno quando si parla di cibo: in Europa Occidentale il consumo di plastica è triplicato dal 1980 a oggi, assestandosi intorno ai 120 Kg/annui per ciascun abitante. Per produrre alcuni materiali plastici esiste una sostanza che usiamo e studiamo da circa 50 anni: stiamo parlando del Bisfenolo A – meglio conosciuto come BPA – un composto chimico che sta alla base del policarbonato. Il BPA è trasparente, resistente agli urti e alla temperatura, rigido e durevole nel tempo, ma è anche sotto accusa. L’Unione Europea l’aveva già bandito nel 2011 dai contenitori per alimenti dei neonati. Ora il dibattito è ripreso: l’ultimo comunicato stampa dell’EFSA l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare, si occupa di nuovo di questa molecola. C’è dunque qualche rischio anche per gli adulti? L’EFSA ha ribadito ancora una volta che le dosi di BPA a cui siamo esposti non costituiscono alcun rischio per la nostra salute.

Noi e il BPA: quando veniamo in contatto?

Le proprietà del BPA sono sfruttate in diversi ambiti: si spazia dalla realizzazione di apparecchiature mediche, alla creazione di oggetti per il tempo libero o di contenitori di plastica trasparente per alimenti.  Per fare un po’ di ordine, occorre dire che il BPA è contenuto solo negli oggetti contrassegnati dalla sigla 03 (Polivinilcloruro o PVC) o 07 (resine epossidiche e policarbonato), perché le altre plastiche hanno processi di produzione differenti.
L’uso di BPA che desta maggiore preoccupazione è quello in ambito alimentare, ma l’esposizione può anche derivare da polveri, carte termiche o cosmetici. Può il box in cui conserviamo i cibi o la nostra borraccia essere una fonte di gravi malattie? Oppure può essere colpa della lattina di una bibita rivestita dalle resine epossidiche?

I primi sospetti nei confronti del BPA li avanzò Dodds negli anni ’30, ma è dagli anni ’90 che la produzione scientifica intorno all’argomento si fa più abbondante. Il picco degli articoli scientifici che parlano del BPA lo troviamo nel 2012, con  ben 320 pubblicazioni che analizzano i suoi effetti sulla specie umana.
Ma quali sono i capi di accusa?  Il BPA potrebbe essere tossico per fegato e reni, e potrebbe avere effetti sulla ghiandola mammaria. Alcuni studi hanno evidenziato un’interazione negativa con il sistema immunitario, il sistema nervoso e quello cardiovascolare. Altri sostengono che il BPA sia implicato nell’insorgenza di tumori. Il bisfenolo infine sembra essere in grado di imitare il comportamento degli estrogeni, gli ormoni femminili, provocando problemi di fertilità e squilibri nel sistema endocrino.

Le decisioni già prese

Date le premesse il BPA sembrerebbe una sostanza da bandire.  La Commissione Europea si è preoccupata di valutare la sicurezza del BPA una prima volta nel 2002. Nel 2006, in seguito a studi più approfonditi, è stato possibile fissare una dose giornaliera tollerabile  (DGT) di 0,05 mg per ogni kg di peso corporeo. Tale valore è stato stabilito in base a un metodo statistico che stima la dose che potrebbe provocare un effetto avverso di lieve entità su organi come il fegato o il rene.

Dato che gli studi scientifici intorno al BPA hanno continuato a proliferare, l’EFSA è stata costretta a revisionare le dichiarazioni precedenti alla luce dei nuovi risultati. Nell’anno 2010 l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare ha rilasciato un nuovo parere: dopo aver analizzato più di 800 lavori, l’autorità ha dato di nuovo il via libera al BPA, anche se incominciarono a sorgere alcuni dubbi a causa di studi che correlavano il BPA con alcuni problemi sullo sviluppo nei topi. I pareri di FAO e WHO, che riunirono una trentina di esperti americani e canadesi, rinforzarono le opinioni dell’EFSA.
Le revisioni del 2010 hanno fatto scaturire una serie di leggi della Commissione Europea, che regolano senza escludere il contatto con gli alimenti del bisfenolo A per quanto riguarda gli adulti, mentre lo vietano per i neonati.

La ricerca aiuta a definire la legge

Allora possiamo stare tranquilli? Il regolamento emesso nel 2010 non ha certo posto fine agli studi scientifici. “È stata proprio la larga produzione scientifica realizzata intorno al BPA a partire dal 2010, che ha spinto la Commissione Europea a chiedere all’EFSA una nuova valutazione del rischio per l’uomo”, ha spiegato Iona Pratt, presidente della commissione EFSA per i materiali a contatto con i cibi (CEF).
La nuova valutazione ha preso in considerazione l’assunzione di BPA anche da prodotti non alimentari. Inoltre sono stati valutati i livelli di esposizione in base a diverse fasce di età, che comprendono i ragazzi fino ai 18 anni e le donne in età fertile (18-45 anni). Infatti proprio un recente articolo, pubblicato su Endocrinology nel 2014 da un gruppo dell’Università dell’Illinois, suggerisce che il BPA assunto dalla madre durante la gravidanza potrebbe aumentare il rischio di tumore alla prostata per il bambino in età adulta. Infatti le cellule staminali della prostata compaiono durante i primi stadi della gravidanza, per poi sostenere il tessuto prostatico durante tutte la vita dell’uomo. Le cellule sono sensibili agli estrogeni, che aumentano nell’uomo anziano e che sono una tra le cause riconosciute per il tumore alla prostata. Se le cellule prostatiche entrano in contatto con il BPA durante la gravidanza, sembrano più propense a produrre lesioni cancerose, come se diventassero più sensibili agli effetti avversi degli estrogeni. La prova è stata realizzata usando cellule staminali umane impiantate nel topo.

Mentre negli USA si invoca una nuova valutazione da parte della Food and Drug Administration sull’esposizione al BPA, Iona Pratt esprime il suo parere per l’Europa: “La nostra esposizione al BPA è inferiore rispetto a quanto stabilito in precedenza, e quindi non costituisce un rischio per la salute”. Infatti secondo gli ultimi studi l’esposizione quotidiana al BPA è 11 volte inferiore a quella stimata nel 2006. Una nuova banca dati sui consumi alimentari in Europa e l’analisi di oltre 2500 campioni alimentari hanno permesso di rivedere le precedenti stime. Nello studio è stato compreso anche il latte materno.
Malgrado ciò l’EFSA propone di abbassare la dose tollerabile giornaliera di BPA fino a renderla 10 volte inferiore a quella fissata oggi. E questo non è ancora il valore definitivo, perché gli studi sono in continua evoluzione e l’EFSA deve ancora terminare le sue valutazioni.

L’EFSA ora ha indetto una consultazione pubblica, per raccogliere pareri dalla comunità scientifica riguardo ai nuovi documenti emessi. La consultazione si chiuderà il prossimo 13 marzo. “Ogni commento sulle nostre opinioni è benvenuto. Vogliamo fornire giudizi robusti e credibili dal punto di vista scientifico, e penso che una consultazione pubblica sia un buon mezzo per farlo”, ha concluso Iona Pratt.

Crediti immagine: Christian Cable, Flickr

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Giulia Annovi
Mi occupo di scienza e innovazione, con un occhio speciale ai dati, al mondo della ricerca e all'uso dei social media in ambito accademico e sanitario. Sono interessata alla salute, all'ambiente e, nel mondo microscopico, alle proteine.