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Primati contro batteri: la lunga lotta per tenersi il ferro

800px-Iron_electrolytic_and_1cm3_cubeRICERCA – Una lotta di circa 40 milioni di anni, quella che vede i primati contro alcuni agenti patogeni. Il motivo della contesa? L’utilizzo (e sequestro) del ferro. Uno studio  pubblicato sulla rivista “Science” da un team di ricercatori dell’Università dello Utah a Salt Lake City ha studiato questo particolare conflitto analizzando il DNA di 21 specie di primati, essere umani compresi.

Il ferro è un elemento fondamentale per la maggior parte degli organismi viventi, ma al tempo stesso la sua concentrazione non dev’essere troppo alta per non avere danni cellulari. Inoltre, una grande presenza di ferro a livello extracellulare favorisce la proliferazione di batteri patogeni, che necessitano di ferro per la loro sopravvivenza.

Per questo motivo i vertebrati, per cercare di mantenere bassa questa concentrazione, hanno costruito un meccanismo per nascondere il ferro in circolazione rendendolo non disponibile ai batteri. Questo sequestro è permesso dalla transferrina, una proteina che trasporta il ferro nel sangue e che non lo lascia in libera circolazione. I batteri patogeni, dal canto loro, hanno evoluto un sistema per contrastare l’azione della transferrina: una proteina chiamata TbpA è infatti in grado di legare proprio la transferrina lasciando così libero il ferro; un meccanismo usato anche da batteri che causano meningite, gonorrea e la sepsi.

La guerra per il ferro tra primati e batteri è comunque transitoria e per questo difficile da studiare. Così Matthew F. Barber e Nels C. Elde, autori dello studio appena pubblicato, hanno analizzato il DNA di numerose specie di primati, compresi gli esseri umani, per risalire ai cambiamenti avvenuti negli ultimi 40 milioni di anni.

Studiando anche primati “lontani” da noi come le scimmie Saimiri, che vivono nella foresta tropicale dell’America centrale e meridionale, si è potuto scoprire che la maggior parte dei cambiamenti si sono accumulati sulla regione di contatto tra le due proteine. Questo conferma che la coevoluzione di transferrina e TbpA ha un lato biochimico importante. Le analisi mostrano infatti che per grazie ad alcune mutazioni nella transferrina, la proteina TbpA non riusciva più a legarla. A sua volta la TbpA per riuscire a sottrarre il ferro all’organismo ospite ha subito una mutazione che le ha permesso di avere una struttura leggermente diversa, in grado di riadattarsi alla nuova transferrina mutata.

Questa scoperta spiega innanzitutto come transferrina e TbpA si siano in qualche modo rincorse durante la loro evoluzione per cercare di fornire il vantaggio evolutivo alla propria specie di appartenenza. Ma è interessante anche perché è circa il 25 per cento della popolazione mondiale ha una piccola alterazione nel gene della transferrina. Come mai? Secondo gli autori “finora nessuno studio era riuscito a chiarire perché una simile variazione fosse presente in una percentuale così ampia della popolazione umana”. Ora la risposta starebbe proprio in questo conflitto lungo milioni di anni fa, dove questa mutazione così diffusa è solo l’ultimo evento.

@FedeBaglioni88

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.  
Crediti immagine: Alchemist-hp, Wikimedia Commons

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Federico Baglioni
Biotecnologo curioso, musicista e appassionato di divulgazione scientifica. Ho frequentato un Master di giornalismo scientifico a Roma e partecipato come animatore ai vari festival scientifici. Scrivo su testate come LeScienze, Wired e Today, ho fatto parte della redazione di RAI Nautilus e faccio divulgazione scientifica in scuole, Università, musei e attraverso il movimento culturale Italia Unita Per La Scienza, del quale sono fondatore e coordinatore. Mi trovate anche sul blog Ritagli di Scienza, Facebook e Twitter @FedeBaglioni88