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Vuoi pubblicare? Aggiungi un autore maschio

Quando un atteggiamento maschilista va a interferire con il processo di revisione scientifica

grimace-388987_1280CRONACA – Che il processo di revisione degli articoli scientifici abbia qualche problema non è certo una novità. Tra truffe, favoritismi e giudizi azzardati, le carenze del sistema alla base delle pubblicazioni scientifiche hanno dato adito negli ultimi anni ad ampie discussioni sulla sua validità. E su eventuali modifiche da apportare al meccanismo di valutazione della produzione scientifica.

Va ad aggiungersi alla lista delle crepe del modello di peer review un episodio che la scorsa settimana ha sollevato un certo polverone nella comunità scientifica.
L’accusa ­– anche questa non è nuova – è di maschilismo in ambiente accademico, un atteggiamento emerso proprio nel goffo tentativo di negare differenze di genere nelle opportunità degli scienziati.

Il caso è scoppiato quando Fiona Ingleby, una ricercatrice di biologia evoluzionista all’Università del Sussex, nel Regno Unito, ha rivelato su Twitter un estratto della risposta di un referee a un suo articolo invitato a una rivista del gruppo PLoS.

“Potrebbe aiutare se trovaste uno o due biologi maschi con cui lavorare (o almeno che fornissero una revisione interna all’articolo, ma sarebbe meglio se fossero coautori attivi), in modo da avere un possibile controllo nei confronti di interpretazioni che a volte possono allontanarsi troppo dall’evidenza empirica, per finire in supposizioni basate sull’ideologia.”

In poche parole? Trovate un autore maschio per migliorare lo studio. L’articolo, rivela una delle autrici facendo notare l’ironia, trattava proprio delle differenze di genere che affrontano gli scienziati nel passaggio tra dottorato e post-doc.

Differenze che, secondo l’anonimo referee, sono da ascrivere alla maggior forza e salute degli uomini rispetto alle donne, per cui “non c’è da stupirsi se in media gli studenti di dottorato maschi sono co-autori di un articolo in più rispetto alle studentesse, così come in media sarebbero più veloci di queste ultime in una gara di corsa”.

Certo, che un reviewer consigli di aggiungere un autore maschio per pubblicare un articolo non può che favorire un eventuale maggior successo maschile nei risultati scientifici. Ma di questo il commentatore non sembra fare cenno.

La diffusione su Twitter dell’episodio e la piccola tempesta di indignazione che ne è seguita ha forse accelerato la reazione degli editori della rivista, sollecitati già da tre settimane dalle autrici dello studio. Il primo maggio Damian Pattinson, il direttore editoriale di PLoS ONE, ha riferito in un post online di aver rimosso l’anonimo esperto dal gruppo di reviewer della rivista. Anche l’editor scientifico che ha gestito la revisione del manoscritto è stato sanzionato: gli è stato infatti chiesto di lasciare l’Editorial Board del gruppo PLoS.

Come evitare che le opinioni personali – in questo caso discutibili – dei referee possano intromettersi nel processo di validazione dei risultati scientifici? Per alcuni la rimozione dell’anonimato, che oggi domina nella maggior parte dei processi di peer review, potrebbe essere un passo avanti. La stessa Fiona Ingleby sostiene infatti che il suo anonimo referee non si sarebbe probabilmente permesso di esprimersi in quel modo se avesse dovuto associare alla propria firma i suoi commenti (conoscendo le opinioni apertamente espresse da alcuni scienziati, chi scrive si permette di sollevare qualche dubbio).

Secondo altri commentatori l’abolizione dell’anonimato però non basta: gli editori di una rivista dovrebbero intervenire nel processo di revisione anche per evitare questi incidenti. Commenta in un post il blogger Neuroskeptic: “L’attività editoriale è un’attività scientifica, non soltanto burocratica. Gli editori non dovrebbero ‘esternalizzare’ le questioni scientifiche ai referee, ma farsene carico anche loro”.

@ValentinaDaelli

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