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La giornata internazionale dell’albinismo tra discriminazione, bellezza e violazione dei diritti umani

Una condizione genetica che può portare a discriminazione nel nostro Paese, ma che conduce a vere e proprie persecuzioni in alcune nazioni africane, come Tanzania, Camerun, Nigeria e Sudafrica.

in_the_shadow_of_the_sun-01-pressAPPROFONDIMENTO – «Nessuno parla dei problemi veri degli albini in Africa: non vanno a scuola, l’80% rimane analfabeta perché non riesce a leggere quello che c’è scritto sulla lavagna, si ammalano di cancro alla pelle anche prima dei trent’anni perché non c’è disponibilità di creme solari, i genitori con figli albini pensano che la loro prole non avrà mai un futuro, un ruolo nella società». Sono parole di Stéphane Ebongue, giornalista e rifugiato politico camerunense, scappato dal suo paese per evitare di essere ucciso dopo la scomparsa del fratello, come lui albino. In Camerun gli albini sono ritenuti responsabili della possibile eruzione del vulcano Epassamoto. Per scongiurarne il rischio, vengono utilizzate le polveri ricavate dai loro cadaveri, considerate magiche da stregoni e guaritori appartenenti a una cultura ancora legata a cruenti riti ancestrali. «Tutti mi chiedono di raccontare la mia storia, ma ora vivo in Italia e trovo un insulto per chi in Africa ancora vive questa situazione continuare a parlare della mia vicenda. Bisogna fare, non parlare».

Quanti di coloro che leggono questo articolo hanno mai incontrato, camminando per la strada, una persona albina? Chi ha mai pensato che la maggior parte delle persone albine vivono nell’Africa sub sahariana? Albino deriva dal latino albus, bianco. «In genere, le persone albine non si definiscono malate, ma portatrici di una condizione genetica rara» afferma Lucia Pellegrini consigliera di Albinit, l’Associazione italiana degli albini. «Tuttavia, in medicina, l’albinismo fa parte dei genetic diseases, delle malattie genetiche, perché è causato da alterazioni genetiche rare» osserva Maria Vittoria Schiaffino, responsabile di un gruppo di ricerca che si occupa di albinismo nella Divisione di Genetica e Biologia Cellulare dell’Ospedale San Raffaele di Milano.

«Poiché l’albinismo si presenta fin dalla nascita ed è caratterizzato da un aspetto fisico molto evidente, perché più “chiaro”, le persone affette da tale condizione hanno la sensazione di essere un po’ diverse rispetto alle altre, magari anche della stessa famiglia o dello stesso gruppo. Per questo motivo gli albini non si riconoscono nel termine malattia ma, piuttosto, nella definizione di condizione genetica e, in effetti, mi sembra più corretto rispettare il loro sentire e definirli in questo modo».

Ma gli albini sono soltanto persone bionde con la pelle chiarissima? Dipende da quale tipo di albinismo sono affette. Il tipo OCA (Oculocutaneous albinism) colpisce sia la pelle sia gli occhi, mentre il tipo OA (Ocular albinism) colpisce soltanto gli occhi: «Le anomalie oculari sono presenti in tutti i tipi di albinismo e sono certamente patologiche. Altre, come il colore più chiaro della pelle, possono essere un problema, ma non così grave alle nostre latitudini. Lo sono invece in Africa, dove le radiazioni solari sono molto più forti e in mancanza di adeguata protezione provocano spesso l’insorgenza di tumori della pelle».

Ad oggi, l’albinismo è una patologia genetica che vede coinvolti 18 geni diversi. «È sufficiente che uno di questi geni abbia una mutazione – continua Schiaffino – e si può avere l’albinismo. Ma è una condizione molto rara, si valuta intorno a 1 su 10.000-20.000 nel mondo». L’albinismo viene trasmesso da genitori portatori sani del gene e, per quel che riguarda la situazione in Africa, si pensa alla consuetudine di matrimoni tra consanguinei. «Il primo gene collegato all’albinismo è stato quello della tirosinasi, l’enzima più importante nella sintesi della melanina, il pigmento responsabile del colore della nostra pelle, degli occhi e dei capelli.

Successivamente grazie alle tecniche di genetica molecolare ne sono stati identificati molti altri» osserva ancora Maria Vittoria Schiaffino che, nel 1995, assieme al gruppo guidato da Andrea Ballabio, ora direttore dell’Istituto Telethon di Genetica e Medicina (Tigem) di Napoli, ha individuato il gene OA1, la cui mutazione provoca l’albinismo oculare di tipo 1 – che colpisce soltanto gli occhi – meno frequente dell’albinismo oculocutaneo – che coinvolge anche i capelli e la pelle.».

Se nei Paesi sviluppati le persone albine vivono una condizione di discriminazione, in Paesi come Tanzania, Camerun, Nigeria e Sudafrica, sono perseguitati in quanto ritenuti portatori di poteri magici. Per questo, come è successo al fratello di Stéphane Ebongue, scompaiono o vengono rapiti, uccisi e trasformati in “polvere miracolosa”, nella convinzione che sia addirittura in grado di guarire dall’HIV. È il cinema che sta portando a conoscenza del grande pubblico questa tragica situazione di violenza nei confronti degli albini nei Paesi sottosviluppati.

Film come White Shadow di Noaz Deshe, vincitore nel 2013 del Premio Opera Prima al Festival di Venezia, o In the shadow of the sun di Harry Freeland, vincitore del premio come miglior documentario al One World Media Awards 2013, hanno sconvolto le giurie per l’indicibile crudeltà della realtà che descrivono.


Nel 2014 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha istituito la Giornata internazionale di sensibilizzazione sull’albinismo, che si celebra il 13 giugno di ogni anno. Per la National Organization for Albinism and Hypopigmentation (NOHA) si tratta di una decisione storica, che sancisce i diritti e la dignità delle persone albine e un’opportunità per portare a conoscenza le difficoltà e le discriminazioni che subiscono nella vita di tutti i giorni.

L’Italia, grazie ad Albinit, ha aderito a questa risoluzione e sabato 13 giugno alle 17.00 a Verona si terrà una tavola rotonda alla quale interverranno Elisa Tronconi, Presidente Albinit, Silvia Amodio, autrice della mostra fotografica Tutti i colori del bianco, lo stesso Stéphane Ebongue, ideatore del progetto Le Pavillon Blanc, una biblioteca accessibile agli ipovedenti in Camerun, e Lucia Mauri, medico genetista dell’ospedale Niguarda Ca’ Grande di Milano.

Partecipa anche Agnese Marchesini, giovane albina, la cui mamma, Lucia Pellegrini, organizzatrice dell’evento, ci descrive come «persona molto riservata, come tutti gli albini, ma molto determinata. Frequenta il liceo linguistico, è stata testimonial Telethon ed è campionessa italiana para-olimpica di nuoto». «Non ho mai smesso di portare questa sfida che ho in acqua anche nella vita fuori, con le relazioni e la scuola» racconta Agnese nel suo blog.

Agnese è molto bella e, come spesso succede quando si incontra una persona con tratti somatici affascinanti è possibile ci si volti per osservarla. Silvia Amodio, in una intervista, spiega questa sua particolare esperienza di lavoro assieme a persone albine.

Leggi anche: La selezione naturale (pare) sia passata anche sulla nostra pelle

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   
Immagine: Pauline Mayengela holds her child in her arms. Ukerewe Island, Tanzania
Credit: Harry Freeland

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Federica Lavarini
Dopo aver conseguito la laurea in Lettere moderne, ho frequentato il master in Comunicazione della Scienza "Franco Prattico" alla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati di Trieste (SISSA). Sono giornalista pubblicista e scrivo, o ho scritto, su OggiScienza, Wired, La Lettura del Corriere della Sera, Rivista Micron, Il Bo Live, la Repubblica, Scienza in Rete.