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Open access: l’editoria predona e i suoi clienti

L'editoria di riviste pseudo-scientifiche in open access è un fenomeno in espansione, ma di quanto?

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ECONOMIA – Su BMC Medicine, la rivista di uno dei più grandi editori open access, Cenyu Shen e Bo-Christer Björk, ricercatori alla Hanken School of Economics di Helsinki, tentano – con parecchie incertezze – di mappare la distribuzione geografica, e di quantificare il volume di affari di imprenditori che praticano un “marketing altamente discutibile” per reclutare autori dall’onestà che lo è altrettanto.

Come tutti, usano i dati e i criteri di Jeffrey Beall, in mancanza di meglio

Le riviste predone hanno aumentato rapidamente il volume delle pubblicazioni da 53 000 nel 2010 a circa 420 000 nel 2014, in circa 8000 riviste attive (su 11 873 identificate, ndt). Nei primi tempi, gli editori con oltre 100 riviste dominavano il mercato ma dal 2012 quelli nella categoria 10-90 riviste hanno catturato la fetta di mercato più consistente.

 

Distribuzione degli autori per regioni geografiche

Ingegneria e biomedicina sono le discipline più gettonate, con rispettivamente 97 000 e 70 000 articoli nel 2014. Dall’analisi di un campione di 696 riviste, l’Asia e l’Africa (Nigeria principalmente) producono i due terzi degli autori, come si vede dal grafico sopra; l’India quasi la metà delle testate e il 27,1% dei predoni:

Distribuzione degli editori per regioni geografiche

Shen e Björk hanno anche calcolato il rapporto tra pubblicazioni oneste e non nei Paesi dove le seconde sono più abbondanti. In USA rappresentano il 6% del totale; in Iran il 70%, in India il 277%

e in Nigeria uno sbalorditivo 1 580%.

Da un lato non credono alla buona fede dei clienti:

Diversamente da altri che scrivono su questo tema, pensiamo che la maggior parte degli autori non sia illusa dalle riviste predone, ma le usi in modo consapevole calcolando che gli esperti che valuteranno le loro pubblicazioni non si prenderanno la briga di controllare le credenziali delle riviste.

Dall’altro, ritengono che gli autori e le loro istituzioni

fanno parte di un sistema globale strutturalmente ingiusto che da un lato li esclude dalle riviste di “elevata qualità” de dall’altro li confina in riviste dubbie.

Il sistema globale è sicuramente ingiusto. Per l’editoria scientifica, il giudizio sarebbe condivisibile – mi sembra – se non fosse per quel 277% dell’India e lo “sbalorditivo 1580%” della Nigeria. L’open access di qualità è in media da 10 a 20 volte più costoso di quello dubbio, non cento o mille volte.

Inoltre esistono fondazioni e agenzie dell’ONU che finanziano l’open access soprattutto per la biomedicina, e riviste come quelle della Public Library of Science che pubblicano gratuitamente i lavori di ricercatori dei Paesi poveri.

Comunque l’editoria scientifica rende. Il fatturato dell’open access predone è stimato in $74 milioni per il 2014, una cifra dignitosa se paragonata ai $244 milioni nel 2013 per l’open access onesto (più o meno), partito con anni di vantaggio, anche se modesta rispetto ai circa $10,5 miliardi spesi da università e centri di ricerca in abbonamenti alle riviste tradizionali…

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Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   
Crediti immagini: Cenyu Shen e Bo-Christer Björk/CCAttr. 4.0; h_pampel, Flickr

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