Indonesia: l’economia dietro alla produzione di olio di palma
Il mercato legato all'olio di palma: chi lo produce, chi lo consuma, quali sono i maggiori impatti sull'ambiente
APPROFONDIMENTO – È l’oro rosso. Così lo potremmo chiamare per analogia con l’oro nero, il petrolio. Stiamo parlando dell’olio di palma, un grasso di origine vegetale sempre più diffuso nei cibi che mangiamo, nei cosmetici e nei prodotti per l’igiene personale. Proprio in questo periodo siamo testimoni della corsa che alcune regioni del pianeta stanno compiendo per estendere i territori coltivati con le palme. Una gara che non è priva di gravi conseguenze, che si tratti di ambiente o della salute degli esseri umano e degli animali.
Le regioni che hanno un clima adeguato per coltivare la palma da cui si ottiene il pregiato olio sono concentrate nella fascia tropicale. Il massimo della produttività si ottiene infatti con clima caldo, soleggiato e piogge abbondanti concentrate in alcuni mesi dell’anno. L’area che ne produce in maggiori quantità è l’Indonesia, che con i suoi 33 milioni di tonnellate (1000 kg) copre il 54% della produzione mondiale.
Secondo la classifica stilata dallo United State Department of Agricolture (USDA), all’Indonesia fanno seguito la Malesia (circa 20 milioni di tonnellate) e la Thailandia (2 milioni di tonnellate).
Il prezzo da pagare per il reddito che produce questa piantagione è la massiccia deforestazione ottenuta con il fuoco e l’inquinamento che ne consegue: l’Indonesia oggi è la più grande produttrice di gas serra dopo Stati Uniti e Cina.
Secondo il documento US-GHG-Inventory-2015 dell’Environmental Protection Agency, nel 2013 gli incendi delle foreste globali avrebbero contribuito a emettere 5,8 milioni di tonnellate di metano e 3,8 milioni di tonnellate di ossido di azoto. Dati da non sottovalutare in prossimità di COP 21, la conferenza che si terrà a Parigi all’inizio di dicembre per fare il punto sulle prospettive dei cambiamenti climatici.
La produzione dell’olio di palma in Indonesia ha assunto dimensioni ragguardevoli con un’ascesa costante nel tempo: in cinquant’anni il tasso di crescita è stato pari a 209 punti. Per il prossimo anno Oil world, un servizio indipendente di previsioni della produzione di olio, ha preventivato una contrazione nelle esportazioni dell’olio di palma. Sebbene nel 2016 ci sarà comunque una crescita nelle esportazioni, rispetto alle medie degli anni precedenti l’aumento sarà dimezzato. I raccolti infatti saranno penalizzati dalla forte siccità. Inoltre la maggior domanda interna di olio per la produzione di biodiesel da parte dell’Indonesia renderà questo prodotto meno disponibile per le esportazioni.
Nel frattempo però la domanda di olio di palma non cessa nemmeno in altri paesi: a livello globale nel corso di quest’anno ne abbiamo consumato 63 milioni di tonnellate. Il rapporto Oilseeds: world markets and trades del 2015 riporta che i Paesi che ne importano le maggiori quantità sono l’India, seguita dall’Unione Europea e dalla Cina. L’olio di palma è il più utilizzato nei Paesi del Sud-Est Asiatico: il 73% dell’olio di semi consumato in questi Paesi è estratto dalla palma. In Europa invece il prodotto copre il 23% degli oli di semi consumati, secondo solo all’olio di colza (39%). In Cina infine l’olio di palma utilizzato corrisponde a un ammontare pari al 17% di tutti gli oli di semi consumati.
Secondo Agrofin, l’esportazione dell’olio di palma ha permesso all’Indonesia di guadagnare 21 miliardi di dollari nel corso del 2014. Inoltre i dati delle statistiche indonesiane riportano come la maggior parte degli occupati (più del 40%) sia impiegata proprio nel settore dell’agricoltura.
La diffusione dell’olio di palma rispetto ad altri oli a uso alimentare e industriale è favorita dal prezzo, che è secondo solo all’olio di girasole. Nel corso dell’ultimo anno inoltre l’olio ottenuto dalla palma è il più favorito dal crollo dei prezzi. Non cessa intanto l’espansione dei territori convertiti a questo tipo di coltivazione. Secondo il rapporto Indonesia: oilseed and products annual (2015) dell’USDA il prossimo anno verranno piantati il 2,4% di alberi in più per aumentare la produzione di olio. Una produzione che in Indonesia raggiungerà i 35 milioni di tonnellate.
Nonostante l’impegno di organizzazioni no-profit come Roudtable on Sustainable Palm Oil (RSPO), sembra che non si stia facendo abbastanza per fermare i danni ambientali. Attiva dal 2004, l’associazione cerca di diffondere un modo di coltivare l’olio di palma che abbia un minor impatto sociale e ambientale. Non mancano però le critiche o le richieste di mettere in campo un attivismo più focalizzato su alcuni problemi. Non va dimenticato che l’olio di palma identificato con il marchio RSPO corrisponde solo al 20% dell’intero volume commercializzato, e che tale marchio non è stato capace di sfondare all’interno dei mercati che fanno largo uso di questo prodotto.
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