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Quando c’è troppo ferro nel nostro organismo

Alla base dell’emocromatosi ereditaria c’è un eccessivo deposito di ferro nelle cellule di diversi organi. Conoscere come avviene il metabolismo del ferro e quali sono gli effetti sul nostro organismo è la chiave per migliorare le terapie esistenti e trovarne di nuove.

SandroAltamuraRICERCANDO ALL’ESTERO – “La medicina molecolare mi permette di aiutare i pazienti nell’immediato, non è come la biochimica che, seppur molto interessante dal punto di vista biologico, studia i meccanismi di base di una cellula. Qui andiamo a capire come funziona la malattia. Si parte da una mutazione presente in un paziente, una persona concreta che sta male, per poi studiare in un modello animale o cellulare gli effetti di quella mutazione o la risposta dell’organismo a un farmaco”.

 

Nome: Sandro Altamura
Età:
41 anni
Nato a: Bari
Vivo a: Heidelberg (Germania)
Dottorato in: Scienze biomolecolari (Trieste)
Ricerca: I meccanismi che regolano l’assorbimento del ferro.
Istituto: Department of Pediatric Hematology, Oncology and Immunology
Interessi: informatica ed elettronica.
Di Heidelberg mi piace: è una città scientifica, aperta, giovane, viva, stimolante. È al centro dell’Europa, ottimo per viaggiare.
Di Heidelberg non mi piace: il clima, non ha il mare.
Pensiero: Addio e grazie per tutto il pesce (Guida Galattica per Autostoppisti, Douglas Adams).

Il ferro è un elemento essenziale per il nostro organismo. Quali sono le sue principali funzioni?
Il ferro svolge diverse funzioni all’interno del corpo. Fa parte della composizione di molte proteine, è un importante cofattore per diversi enzimi ed è essenziale in vari processi cellulari. Ma, soprattutto, è di vitale importanza nella respirazione. È grazie al ferro contenuto nell’emoglobina dei globuli rossi che l’ossigeno è distribuito a tutti i tessuti.

Il nostro organismo non produce ferro autonomamente ma lo assume dall’esterno grazie al cibo che mangiamo. Poi, durante la digestione, è assorbito dall’intestino e raggiunge il circolo sanguigno, dove si lega a una proteina chiamata transferrina che lo trasporta a tutte le cellule del corpo. La quantità di ferro deve essere ben bilanciata: se ce n’è troppo poco si diventa anemici, ci si stanca presto e si hanno problemi respiratori; se ce n’è tanto si può manifestare l’emocromatosi, una malattia molto diffusa in Italia.

Nel laboratorio dove lavoro, si studiano i meccanismi che modulano l’assorbimento del ferro: si tratta di meccanismi ormonali basati su una piccola proteina chiamata epcidina. L’epcidina è prodotta dal fegato in risposta all’aumento di ferro nel sangue o alla presenza di stimoli infiammatori, circola nei vasi con gli altri ormoni e interagisce con un particolare recettore presente sulla superficie di alcune cellule. Questo recettore si chiama ferroportina e ha il compito di esportare nel sangue gli ioni ferro presenti all’interno della cellula. Quando i livelli di ferro in circolo sono troppo elevati, l’epcidina impedisce che altro ferro entri nel sangue.
Se per qualche problema il nostro corpo non è in grado di “sentire” quanto ferro è in circolo, verrà prodotta meno epcidina e si inizierà ad assorbire troppo ferro. Attenzione, questo metallo può essere tossico in quantità elevate: causa problemi al fegato al cuore, al pancreas, all’apparato riproduttore e, in casi estremi, può portare alla morte dell’organismo.

Nel caso dell’emocromatosi, che cosa succede a questo circuito di controllo epcidina-ferroportina?
Ci sono diversi attori che possono avere un ruolo cruciale nei meccanismi di regolazione del ferro. Nel mio lavoro ho studiato una particolare mutazione del recettore ferroportina, responsabile di una particolare forma di emocromatosi. È una forma trasmessa per via ereditaria in maniera autosomica dominante, chiamata emocromatosi ereditaria di tipo 4. Si tratta di una malattia molto rara, che già da generazioni colpisce un’unica famiglia e che è stata descritta per la prima volta circa dieci anni fa.

In laboratorio siamo riusciti a riprodurre questa particolare malattia in un modello animale. Quello che abbiamo creato è un topo cosiddetto knock in, cioè un animale transgenico in cui viene inserita la mutazione, e abbiamo visto che manifesta esattamente gli stessi sintomi di un giovane membro della famiglia in questione. A causa di questa mutazione l’epcidina non è più in grado di legarsi alla ferroportina, e se la ferroportina non viene distrutta il ferro continua a essere esportato nel sangue, da dove raggiunge tutti gli organi. È un ottimo modello per studiare i problemi che il bambino potrà sviluppare negli anni, ci dà la possibilità di testare terapie farmacologiche e di individuare dei marcatori dell’assorbimento intestinale di ferro. Cose che ovviamente sul giovane paziente non sarebbe possibile fare.

Cosa avete scoperto a proposito di questa particolare malattia?
Le principali conclusioni a cui siamo giunti sono due. Abbiamo visto che nell’emocromatosi ereditaria di tipo 4 c’è accumulo di ferro nel pancreas, che alla lunga porta alla morte dell’animale. Questo è molto importante per i pazienti, soprattutto a livello terapeutico. Esiste infatti un trattamento farmacologico chiamato PERT (Pancreatic Enzyme Replacement Therapy) con il quale si assumono tutti gli enzimi che dovrebbe produrre normalmente un pancreas sano.

Infine abbiamo dimostrato che un preciso amminoacido è essenziale per l’interazione tra epcidina e ferroportina e quindi per l’assorbimento del ferro. Quando si è cominciato a studiare questa famiglia affetta dalla malattia, si era già intuito il ruolo chiave dell’amminoacido mutato, ma la prova definitiva si è avuta solamente grazie ai nostri studi fatti in vivo sui topi.

Quali sono le prospettive future del tuo lavoro?
Ora ci stiamo concentrando su possibili terapie farmacologiche, testando tutta una serie di sostanze su linee cellulari. L’obiettivo è individuare farmaci in grado di modulare l’espressione di ferroportina, senza coinvolgere l’epcidina. In questo modo sarebbe possibile trattare qualsiasi paziente con emocromatosi perché bloccando la ferroportina, si bloccherebbe la fuoriuscita di ferro nel sangue e si potrebbe limitare la quantità di ferro acquisita con la dieta.

Leggi anche: Quando l’anemia è ereditaria

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.
Crediti immagine: Sandro Altamura

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Luisa Alessio
Biotecnologa di formazione, ho lasciato la ricerca quando mi sono innamorata della comunicazione e divulgazione scientifica. Ho un master in comunicazione della scienza e sono convinta che la conoscenza passi attraverso la sperimentazione in prima persona. Scrivo articoli, intervisto ricercatori, mi occupo della dissemination di progetti europei, metto a punto attività hands-on, faccio formazione nelle scuole. E adoro perdermi nei musei scientifici.