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Guerre Stellari, Il risveglio della Forza

Tornare indietro per guardare avanti: definirlo un semplice remake è un giudizio ingeneroso

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STRANIMONDI – Uno degli eventi cinematografici più atteso di questo inverno è stato di certo Guerre Stellari, Il risveglio della Forza. Merito dello status di cult che circonda l’intera saga, ma anche della massiccia campagna pubblicitaria messa in atto per lanciare un settimo episodio che aveva davanti a sé un compito difficile: rimediare alla delusione dei tre prequel usciti fra il 1999 e il 2005, e far conoscere la serie alle nuove generazioni. Su tutto aleggiava l’ombra della Disney, che ha acquistato la LucasFilm nel 2012 e che molti fan temevano potesse imporre il proprio marchio stravolgendo un’epopea che può contare su un background ricchissimo, forte di quasi quarant’anni di film, fumetti, romanzi, giochi e serie. Ad affrontare una simile impresa è stato chiamato J. J. Abrams, peraltro già impegnato con l’altrettanto celebre saga fantascientifica di Star Trek.

Fin dall’inizio Il risveglio della Forza si svolge con ritmo sostenuto, seguendo un copione che mostra diverse somiglianze con Una nuova speranza. Una scelta che ha suscitato molte critiche da parti di chi ha definito questo film nient’altro che un remake/reboot e stigmatizzato la mancanza di coraggio di Abrams e della Disney, che hanno solo pensato a sfornare un prodotto che potesse accontentare tutti.

Ma è davvero così?

Tanto per cominciare, il tanto temuto buonismo Disney non ha certo impedito la morte di un protagonista né addolcito i conflitti presenti, lasciando inalterate quelle strutture narrative consolidate che già si erano rivelate funzionanti nella prima trilogia. E a questo proposito, Abrams ha rilasciato alcune interessanti dichiarazioni in un podcast con The Hollywood Reporter: “Abbiamo ereditato Guerre Stellari. Il fatto che la storia si ripeta era un qualcosa di ovvio e intenzionale. Il personaggio che viene da un deserto e scopre di avere un potere dentro di sé, così come l’arma distruttiva dei cattivi che poi verrà a sua volta distrutta, sono fra gli aspetti meno importanti di questo film, ed erano sfruttati ben prima della trilogia originale”.

La scelta di introdurre una nuova e ancora più grande Morte Nera è senz’altro discutibile, ma è anche bene ricordare che la struttura di base dei primi film era basata su un modello molto radicato e ampiamente analizzato, fra gli altri, dal saggista e storico delle religioni Joseph Campbell, il cui L’eroe dai mille volti è stata una fondamentale fonte di ispirazione per Guerre Stellari, come lo stesso George Lucas ha più volte sottolineato.

“A me interessava introdurre nuovi personaggi usando relazioni che abbracciassero la storia che conosciamo, in modo da poter poi raccontare una storia diversa” ha aggiunto Abrams nel corso dello stesso podcast. Fare un passo indietro per poterne poi fare un altro in avanti, in una direzione nuova e diversa, per raccontare una storia di genitori e figli. Perché in fondo Guerre Stellari è sempre stata una storia familiare.

Ecco quindi che le differenze rispetto alla trilogia originale acquisiscono un peso ancora maggiore delle somiglianze, che invece diventano una struttura nota e solida, il cui compito è di far sentire a casa i fan. “Chewbe, siamo a casa” mormora non a caso Harrison Ford, quando il suo Han Solo rientra nel Millenium Falcon. E sarà proprio questa astronave a diventare un simbolo del passaggio dal vecchio al nuovo, dalla struttura che tutti conosciamo alle novità che – si spera – ci attendono nei prossimi due film.

Le differenze, dunque.

Non ci sono più gli intrighi politici, le complicazioni e le divagazioni degli Episodi I, II e III. Non che fossero sbagliate in sé, ma il modo confusionario con cui Lucas le aveva gestite, insieme ai tanti errori di casting e scrittura, aveva finito per ingolfare il motore della saga, che si alimenta di pochi, semplici elementi.

Abbiamo poi un trooper che per la prima volta si toglie il casco e si ribella. Non sarà più un numero ma avrà un nome proprio, Finn, e non sparerà su civili inermi come i suoi superiori volevano che facesse. Poi c’è Rey, un personaggio femminile che ricorda Leia Organa per la sua intraprendenza ma che è destinato a ricoprire il ruolo da protagonista che era stato di Luke Skywalker. Rey non è la principessa da salvare ma il nuovo eroe dai mille volti, e il rapporto che instaura con Finn – grazie anche all’ottima interpretazione di Daisy Ridley e John Boyega – diventa fin da subito uno degli assi portanti del film.

E infine, l’antagonista.

Molti hanno criticato la scelta di Adam Driver e il fatto che il suo Kylo Ren non sia nemmeno paragonabile a Darth Vader, entrato nella storia del cinema come icona del villain per eccellenza sebbene in Episodio IV fosse un personaggio monodimensionale (solo nella seconda stesura della sceneggiatura de L’Impero colpisce ancora Lucas decise che doveva essere il padre di Luke Skywalker). Kylo Ren non ha il suo carisma e la sua presenza scenica, questo è innegabile. Lo idolatra – la maschera che per Vader era necessaria per sopravvivere, per lui diventa un feticcio per emulare il predecessore – ma non è alla sua altezza, come non manca di sottolineare il suo stesso maestro. È irruento e immaturo, potente ma ancora acerbo. Invece di un jedi tentato dal Lato Oscuro abbiamo un cattivo tentato dal Lato Chiaro. Anche in questo caso, le differenze sono più importanti delle somiglianze, poiché ci consegnano un’antagonista sfaccettato e con grandi potenzialità di sviluppo nei prossimi capitoli della saga. Anche lui ha infatti le carte in regola per incarnare un aspetto dell’eroe dai mille volti.

Ecco quindi che la struttura di Campbell si complica, arricchendosi di nuovi elementi. Resta da vedere come i vari punti oscuri della trama de Il risveglio della Forza verranno affrontati e risolti nei prossimi film, ma di certo definirlo un semplice remake è un giudizio ingeneroso e, a un’analisi più attenta, infondato.

Ciò non toglie che il film abbia i suoi difetti – a partire da alcuni buchi di sceneggiatura – e, pur restando all’interno della stessa struttura, avrebbe potuto osare di più nella caratterizzazione del background di un mondo così ricco e dettagliato. Se il world building di Lucas era confusionario, quello di Abrams è pressoché inesistente.

Diversi fan hanno inoltre criticato il modo in cui è stata rappresentata la Forza, che da campo di energia mistica che pervade l’universo è stata derubricata a una mera serie di trucchetti da supereroe, che passa in secondo piano rispetto ad astronavi, blaster e droidi, perdendo così il suo profondo significato. Anche in questo caso, però, ricordiamo che un’altra importante differenza fra questo film e Una nuova speranza è l’assenza di un mentore alla Obi Wan Kenobi, che possa insegnare ai protagonisti – e al pubblico – la vera natura di questa essenza spirituale. E siccome sappiamo che un mentore in Episodio VIII ci sarà (e che mentore), forse allora è presto per giudicare l’approccio alla Forza di questa nuova trilogia. Inoltre, il fatto che la Forza non sia solo una sorta di superpotere è dimostrata anche da una delle scene clou, nella quale Rey ritrova la spada laser di Luke Skywalker e, toccandola, viene scossa da una serie di visioni il cui significato verrà spiegato nei prossimi episodi. Visioni che riecheggiano proprio perché la Forza permea l’universo intero.

Questa scena inoltre conferma, se mai ce n’era ancora bisogno, che l’appartenenza di Guerre Stellari alla fantascienza è più estetica che concettuale. L’eroe che ritrova la spada di un grande guerriero del passato, le visioni sul proprio destino, il mentore che insegnerà all’eroe a risvegliare il proprio potere, finanche la cantina in cui Rey scopre la spada, in una sorta di scrigno circondato da casse polverose, ragnatele e senza neanche l’ombra di tecnologia, sono tutti elementi tipici della narrativa fantasy, con la Forza al posto della magia. In questo, come nei film precedenti, manca invece del tutto l’aspetto di speculazione sulla scienza e la tecnologia che caratterizzano la fantascienza. Astronavi e armi avveniristiche non sono fondamentali per questa saga quanto lo sono, per esempio, per quella di Star Trek. Di contro, tutto l’arco narrativo di Guerre Stellari fino a ora non starebbe in piedi senza la componente mistica della Forza.

Sempre a proposito di Forza, almeno per ora sono stati trascurati anche i riferimenti all’unico tentativo di spiegarla in maniera pseudo-scientifica. Nell’Episodio I, infatti, Lucas aveva introdotto i midichlorian, una forma di vita microscopica presente in tutti gli organismi viventi, con i quali instaura un rapporto di mutualismo. Questi microrganismi agirebbero come intermediari fra l’ospite e la Forza; maggiore la loro concentrazione, maggiore la sensibilità dell’individuo a essa. Un’idea tutto sommato intrigante ma che non ha riscosso grande successo fra i fan, diventando una delle novità più criticate della trilogia prequel dopo, ovviamente, l’insostenibile Jar Jar Binks. Il quale, state tranquilli, pare non comparirà in questa nuova trilogia.

Non resta quindi che aspettare il 2018 per valutare i prossimi sviluppi della saga e capire se effettivamente c’è l’intenzione di portarla verso nuovi territori, pur restando all’interno dei canoni classici su cui è nata. Nell’attesa potremo comunque consolarci con il primo dei tre spin-off che la Disney ha messo in cantiere, incentrato su un gruppo di spie Ribelli che cercano di rubare i piani della Morte Nera. Quella originale.

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Michele Bellone
Sono un giornalista e mi occupo di comunicazione della scienza in diversi ambiti. I principali sono la dissemination di progetti europei, in collaborazione con Zadig, e il rapporto fra scienza e narrativa, argomento su cui tengo anche un corso al Master di comunicazione della scienza Franco Prattico della SISSA di Trieste. Ho scritto e scrivo per Focus, Micron, OggiScienza, Oxygen, Pagina 99, Pikaia, Le Scienze, Scienzainrete, La Stampa, Il Tascabile, Wired.it.
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