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Immagini d’impatto sui prodotti del tabacco. Serviranno?

Sì, secondo un'indagine che ha coinvolto 1900 fumatori. Risultati incoraggianti per la lotta al tabagismo, ora che anche l'Italia dovrà recepire la nuova normativa UE

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L’uso di immagini d’impatto sulle confezioni delle sigarette sembra aumentare leggermente l’efficacia delle campagne per far smettere di fumare. Crediti immagine: Public Domain

SALUTE – A due anni dall’approvazione della direttiva UE sui prodotti del tabacco, anche in Italia entreranno in vigore i cambiamenti previsti per i pacchetti di sigarette, il tabacco da arrotolare e quello per pipa: entro quattro anni dovranno scomparire le sigarette aromatizzate, niente più formato da 10 (quindi solo pacchetti da 20) e almeno il 65% della superficie della confezione dovrà riportare messaggi e immagini esplicite, un messaggio combinato che informi il consumatore sui rischi del tabacco, che ogni anno uccide sei milioni di persone.

Di questi decessi, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, solo cinque milioni sono la diretta conseguenza dell’utilizzo di tabacco. Ogni anno più di 600 000 non fumatori si ammalano e muoiono a causa del fumo passivo, che riempie spazi chiusi come case e uffici (in molti Paesi, a differenza del nostro, fumare all’interno dei locali è ancora consentito). Nel fumo di tabacco sono presenti più di 400 sostanze chimiche, 250 o più sono nocive per la salute e oltre 50 provocano il cancro.

L’epidemia causata dal tabacco, per usare le parole dell’OMS, è una delle più gravi minacce ai danni della salute in tutto il mondo ed è oggi una priorità sanitaria. Nonostante l’informazione al riguardo abbia fatto grandi passi in avanti, molti restano scettici sull’efficacia di immagini a forte impatto e testi informativi sui pacchetti. Uno scetticismo che spesso accompagna quello sulle giornate di sensibilizzazione, e che le autorità hanno condiviso a lungo: anche negli Stati Uniti la Food and Drug Administration ha proposto l’utilizzo di immagini d’impatto sui pacchetti, ma nel 2012 l’industria del tabacco ha avuto la meglio ed è riuscita a evitare il provvedimento, che ancora oggi è in stallo. La U.S. Court of Appeals for the District of Columbia Circuit ha decretato che non c’erano prove scientifiche a sufficienza per poter dire che questo tipo di comunicazione fosse più efficace rispetto ai soli testi, che negli Stati Uniti sono obbligatori sulle confezioni dal 1985.

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Un ampio studio randomizzato, i cui risultati sono stati appena pubblicati su JAMA Internal Medicine, cambia almeno in parte le carte in tavola. A sostegno delle nuove direttive UE, il che è decisamente incoraggiante in vista dei cambiamenti che ci riguardano. I ricercatori guidati da Noel T. Brewer della University of North Carolina hanno coinvolto 2149 fumatori e li hanno monitorati per quattro settimane, raccogliendo dati per i 1901 partecipanti che hanno effettivamente seguito le indicazioni dal primo all’ultimo giorno. Un gruppo di partecipanti ha fumato solo pacchetti con informazioni di testo, mentre gli altri quelli comprensivi di immagini che mostravano i danni da fumo. All’inizio dell’indagine, e a ogni visita di controllo settimanale, hanno completato un questionario.

Tra i fumatori con le immagini sui pacchetti la percentuale di quelli che provavano a smettere di fumare era più elevata: il 40% contro il 34% del gruppo con i testi. Arrivati alla fine dello studio, il 5,7% dei primi aveva abbandonato le sigarette per almeno una settimana, contro il 3,8% dei secondi. Risultati modesti, lo dicono anche gli autori, “ma che potrebbero portare comunque benefici notevoli”, commentano in una nota. Partendo da questo primo spunto, le prossime ricerche dovranno confermare i risultati su un periodo più lungo, oltre a cercare di raggiungere una popolazione più eterogenea. Non è da escludersi, poiché erano tutti volontari, che i partecipanti avessero un’interesse maggiore a smettere di fumare rispetto a un qualsiasi campione generico di popolazione.

@Eleonoraseeing

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Eleonora Degano

Eleonora Degano

Editor, traduttrice e giornalista freelance
Biologa ambientale, dal 2013 lavoro nella comunicazione della scienza. Oggi mi occupo soprattutto di salute mentale e animali; faccio parte della redazione di OggiScienza e traduco soprattutto per National Geographic e l'agenzia Loveurope and Partners di Londra. Ho conseguito il master in Giornalismo scientifico alla SISSA, Trieste, e il master in Disturbi dello spettro autistico dell'Università Niccolò Cusano. Nel 2017 è uscito per Mondadori il mio libro "Animali. Abilità uniche e condivise tra le specie".