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I robot in aiuto dei pazienti affetti da sociofobia

Una ricerca propone una tecnologia che potrebbe essere utilizzata come riabilitazione per chi soffre di questo disturbo del comportamento sociale

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L’interazione con un avatar o con un robot umanoide potrebbe aiutare i pazienti affetti da sociofobia. Crediti immagine: EuroMov, Center for Research and Technological Development, Montpellier, France

TECNOLOGIA – Secondo alcuni scienziati è possibile usare uno specchio, unitamente alla robotica più avanzata, come la cura per la sociofobia, un disturbo piuttosto grave caratterizzato da ansia che si manifesta in seguito all’interazione sociale o alla necessità di apparire in pubblico.
Chi ne soffre può provare disagio nelle più svariate (e comuni) situazioni, come parlare in pubblico, cenare con altre persone, praticare uno sport di fronte a spettatori. I sintomi possono essere sgradevoli e non controllabili: sudorazione eccessiva e arrossamento del viso, ma anche tremore, perdita di voce e persino vomito e svenimento.

Per fornire supporto alle persone che sperimentano quotidianamente gli spiacevoli effetti di questo disturbo, un gruppo di ricercatori dell’università di Bristol, in collaborazione con le Università di Exeter, Montpellier e Federico II di Napoli, ha sviluppato una sofisticata e avveniristica versione del gioco dello specchio. Le regole del gioco sono semplici: due persone sono l’una di fronte all’altra e, quando uno dei due esegue un movimento, l’altro lo deve copiare ripetendo l’immagine riflessa allo specchio.

Il sistema sviluppato dai ricercatori consiste nel far interagire il paziente affetto da sociofobia con un robot o con un avatar animato su uno schermo. Questo schema è basato sulla cosiddetta teoria della similarità, in base alla quale per un essere umano l’interazione con un individuo che ci assomiglia, che si comporta, o che si muove come noi risulta notevolmente semplificata.

Lo studio è stato pubblicato su Journal of the Royal Society Interface ed è parte del progetto europeo AlterEgo, che ha riunito molti tipi diversi di professionisti – medici, psicologi, psichiatri, ingegneri, nonché esperti di matematica e robotica – ed è incentrato sulla riabilitazione innovativa dei disturbi sociali.

Il gioco si articola in differenti scenari caratterizzati da un’interazione crescente tra i pazienti e il sistema artificiale. Nella prima fase ai partecipanti viene chiesto di eseguire tre sessioni individuali, che consistono nell’eseguire movimenti a piacere mentre si sta comodamente seduti, che vengono acquisiti tramite un apparato di sensori e mostrati sullo schermo di un pc come un punto colorato. In seguito, i movimenti acquisiti vengono utilizzati per movimentare un avatar virtuale su uno schermo, che è in grado in tempo reale di seguire le azioni del paziente, oppure per addestrare allo stesso compito un robot. Per rendere più pronta e più naturale la risposta dell’automa, sono stati utilizzati i principi della teoria dei sistemi dinamici e dei controlli in retroazione, tipici della robotica e, in generale, delle macchine automatiche.
Il robot umanoide utilizzato per gli esperimenti è iCub, sviluppato nell’ambito di un altro progetto europeo, ROBOTCUB, e dotato di decine di motori che lo rendono in grado di muovere testa, braccia, mani, vita e gambe, e addirittura di sorridere ed esibire una complessa mimica facciale (ne abbiamo parlato qui).

Lo scopo finale del progetto è realizzare una tecnologia in grado di far interagire simultaneamente più pazienti e automi nell’esecuzione di compiti congiunti: in tal modo, sarà possibile supportare i pazienti con difficoltà di interazione a raggiungere gradualmente una maggiore capacità di agire in tutti gli scenari tipici della vita quotidiana.

Sempre in tema di robotica avanzata, l’utilizzo degli specchi, oltre che nelle ricerche finora descritte, è stato anche proposto nel recente passato per un’altra finalità: capire se un automa è in grado di riconoscere sé stesso.

In effetti, alcuni scienziati sostengono che gli umani, insieme ad alcuni altri animali come delfini, gorilla ed elefanti, si distinguono proprio per la capacità di riconoscere sè stessi nell’immagine riflessa dallo specchio, anche se altri ricercatori si dicono scettici.

C’è chi sostiene comunque che questa capacità, che sarebbe peculiare delle creature dotate di intelligenza e consapevolezza, potrebbe in futuro costituire uno dei criteri di base per capire se un robot possa essere effettivamente considerato senziente o meno.

Nel frattempo, il supporto ai pazienti affetti da sociofobia costituisce di sicuro una buona palestra.

Leggi anche: Scimpanzé, oranghi e (in futuro) robot: quali diritti devono avere?

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

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Gianpiero Negri
Laureato in Ingegneria Elettronica, un master CNR in meccatronica e robotica e uno in sicurezza funzionale di macchine industriali. Si occupa di ricerca, sviluppo e innovazione di funzioni meccatroniche di sicurezza presso una grande multinazionale del settore automotive. Membro di comitati scientifici (SPS Italia) e di commissioni tecniche ISO, è esperto scientifico del MIUR e della European Commission e revisore di riviste scientifiche internazionali (IEEE Computer society). Sta seguendo attualmente un corso dottorato in matematica e fisica applicata. Appassionato di scienza, tecnologia, in particolare meccatronica, robotica, intelligenza artificiale e matematica applicata, letteratura, cinema e divulgazione scientifica, scrive per Oggiscienza dal 2015.