COSTUME E SOCIETÀ

Studenti in pronto soccorso planetario cercansi

Tra formazione teorica ed esperienza sul campo, l'Università di Sassari offrirà dal prossimo anno un corso triennale dedicato a "Sicurezza e cooperazione internazionale"

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L’Università di Sassari aprirà un corso triennale per formare responsabili di “Sicurezza e cooperazione internazionale”. Crediti immagine: Ggia, Wikimedia Commons

COSTUME E SOCIETÀ – L’Università di Sassari non è nella top-ten degli atenei italiani, ma ha avuto una bella idea, un po’ sperimentale e molto ambiziosa: un corso triennale che inizia con il prossimo anno accademico, intitolato “Sicurezza e cooperazione internazionale”. In parole povere: protezione della popolazione e, insieme, tutela e sviluppo delle sue attività e delle sue risorse tanto più se sono scarsissime.

Non sarebbe una novità, se oltre alle materie tradizionali e parecchio teoriche – economia, sociologia, scienze giuridiche, scienze politiche – dei corsi per cooperanti, non prevedesse l’applicazione concreta, in mezzo al caos, della ricerca in biologia, geologia, medicina, veterinaria, agronomia e così via, in un intreccio di multi-disciplinarità.

L’ambizione dei docenti è che gli studenti ne escano con la capacità di essere efficaci nei disastri sanitari, ambientali, climatici che si vanno moltiplicando. Quirico Migheli, responsabile del corso e coordinatore dell’insegnamento di professori italiani e stranieri, riassume così il suo 110 e lode ideale:

qualcuno che, paracadutato in un campo profughi, o in una zona terremotata, o nel bel mezzo di una epidemia, sia in grado di capire quali sono le competenze necessarie per risolvere determinate situazioni e, allo stesso tempo, sia in grado di gestire gli aspetti logistici di base.

Per iscriversi, oltre ad avere un diploma, è indispensabile voler difendere i diritti umani a casa e fuori, con tenacia, pazienza, tre passi avanti due indietro nel sormontare i conflitti; essere convinti che, soddisfatti i bisogni della sopravvivenza, si possa ritessere la convivenza, a chiazze, nonostante chi ne disfa continuamente la tela. Insomma voler essere utili dove si concentrano le sofferenze e le privazioni.

Una bella pretesa? Forse no, se si guardano i dati del volontariato in Italia.

Nel triennio è impossibile padroneggiare le discipline necessarie a rendere la vita altrui più sicura e più degna di essere vissuta, ma si possono imparare le lingue (gergo ONU compreso) e le tecniche di base. Ogni anno, ci sono alternative – dalla matematica per l’analisi dei dati ai metodi di conciliazione evidence-based – così un bivio per volta, si può scegliere il settore della solidarietà nel quale ci si sente più capaci, appassionati, a proprio agio. Nel terzo anno, dopo un biennio di esercitazioni e tirocini su problemi fin troppo reali, si va sul campo in una delle organizzazioni italiane e straniere convenzionate. Sarà un viavai fra “mani in pasta” e teoria,  anche grazie alle borse Erasmus destinate ai tirocinanti per le quali (ho appena scoperto) l’Università di Sassari è prima in Italia.

Non è da tutti superare tre anni così densi e impegnativi, auguri agli iscritti e alle loro aspirazioni. Si preparano a un lavoro frustrante come sanno i volontari e il personale delle ong umanitarie. Spesso verrebbe da disperare, sennonché la matematica non è un’opinione: 3 passi avanti – 2 passi indietro = 1 passo avanti e non ci piove. (1)

(1) Ne approfitto per ringraziare i lettori che hanno firmato l’appello di Action Aid contro il land-grabbing: ne abbiamo fermato uno a Bagamoyo, in Tanzania, com’era accaduto in Senegal. E per invitare tutti a L’Aquila dal 7 al 10 luglio, al Festival della partecipazione.

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