RICERCANDO ALL'ESTERO

Un freno per la memoria a lungo termine

La trascrizione del DNA è un processo fondamentale per la formazione e il consolidamento della memoria a lungo termine. Esistono alcune proteine in grado di reprimerla, anche attraverso il coinvolgimento del sistema immunitario

ippocampo ricerca cervello
Ippocampo di ratto. In rosa gli astrociti, particolari cellule del sistema nervoso centrale, in blu i nuclei delle cellule. Crediti immagine: Chiara Mariottini

RICERCANDO ALL’ESTERO – “Il cervello è l’organo più affascinante, il più complesso e il più misterioso del corpo umano… anche se forse tutti pensano così dell’organo su cui lavorano. È molto complicato da studiare, però, e c’è ancora tanto da capire e da fare soprattutto per il trattamento di malattie”.

picture_chiaramariottiniNome: Chiara Mariottini
Età: 38 anni
Nata a: Arezzo
Vivo a: New York (Stati Uniti)
Dottorato in: scienze fisiologiche (Firenze)
Ricerca: Il ruolo di Wilm’s Tumor 1 (WT1) nella memoria a lungo termine.
Istituto: Department of Pharmacological Sciences, Icahn School of Medicine at Mount Sinai (New York, Stati Uniti)
Interessi: correre, fotografia, corsi di lingua spagnola, viaggiare.
Di New York mi piace: ci sono tante realtà (culturali, sociali, economiche) che riescono a convivere nella stessa metropoli.
Di New York non mi piace: è sempre tutto frenetico, ambizioso, manca la capacità di rilassarsi.
Pensiero: Roma non fu fatta in un giorno.

L’ippocampo è una regione situata nel lobo temporale del nostro cervello che svolge un ruolo cruciale nei processi di memoria a lungo termine, cioè quella associata a esperienze e conoscenze del passato. I meccanismi molecolari alla base di questo tipo di memoria sono molto studiati con il principale interesse di potenziarla in caso di malattie neurodegenerative. Tuttavia nuove evidenze aprono le porte all’altrettanto importante possibilità di frenare la memoria a lungo termine, per esempio per alleviare i sintomi del disturbo post-traumatico da stress.

In che modo è possibile regolare la memoria?
La nostra idea iniziale era andare ad agire sui fattori di trascrizione, cioè proteine che legano il DNA e modificano la trascrizione di una serie di geni bersaglio. Siamo perciò partiti, otto anni fa, con uno screening su una regione del cervello chiamata ippocampo e, in particolare, su una specifica area coinvolta nella memoria a lungo termine e relativa a fatti ed emozioni. L’esperimento consisteva nello stimolare con un elettrodo un fascio di neuroni, in vitro, e indurre una long term potentiation (LTP), che è considerata l’equivalente molecolare della memoria a lungo termine.

Siamo andati ad analizzare quali fattori di trascrizione si erano attivati a seguito di questa stimolazione e ne abbiamo individuati circa una trentina. Molti erano già noti ma un nome in particolare ci ha incuriosito perché non era mai stato associato al cervello o comunque alla memoria e all’apprendimento: quello della proteina WT1. WT1 sta per Wilms Tumor 1, nome che deriva da un nefroblastoma, cioè un tumore maligno a carico del rene, che si sviluppa nei bambini ed è dovuto a una mutazione appunto nel gene WT1.

Qual è il ruolo di WT1 nel cervello?
Per capirlo ho iniziato una serie di esperimenti in vivo per provare a diminuire l’espressione o l’attività della proteina e vedere se si manifestavano alterazioni a livello della memoria. Si tratta di tecniche genetiche in acuto, simili a quelle di silenziamento con i siRNA (short interfering RNA), e di crossing genetico per produrre una proteina non funzionale. In pratica ho fatto una dimostrazione indiretta cioè, dopo aver stabilito che il gene WT1 si attiva in risposta a una stimolazione neuronale, ho osservato cosa succedeva alla memoria una volta rimosso. La cosa interessante, che ancora una volta non ci aspettavamo, è che quando la proteina viene rimossa la memoria spaziale ed emotiva migliora. Abbiamo anche stabilito che si trattava di memoria a lungo termine mentre quella a breve termine, misurata nei roditori circa un’ora dopo l’evento, rimane immutata. Da qui abbiamo dedotto che, in condizioni normali, la proteina Wilms Tumor 1 funziona da repressore della memoria.

Come agisce a livello molecolare?
Dalla letteratura sapevamo che WT1 funziona da repressore dei geni bersaglio, quindi quando viene rimossa si ha un aumento dell’espressione di tutta una serie di molecole. Abbiamo perciò iniziato uno screening chiamato RNA sequencing (ndr. ne avevamo parlato qui), per analizzare i geni diversamente espressi in seguito alla minore quantità o attività di WT1: è emerso che i geni più modificati sono quelli coinvolti nella risposta immunitaria e allo stress, principalmente interleuchine e citochine, tra cui la chemochina CCL2 su cui ci siamo concentrati.

All’inizio siamo rimasti sorpresi, non tanto dalla scoperta in sé dato che sono molti i casi in cui molecole di questo tipo sono implicate nella memoria (per esempio l’interleuchina 1–beta è associata all’autismo) ma dalla misura in cui il sistema immunitario viene coinvolto: su 100 proteine attivate, circa 33 sono legate all’immunità e allo stress. Penso che questo meccanismo si possa spiegare dicendo che quando c’è un evento mnemonico, soprattutto se dovuto a uno stimolo emotivo molto forte associato a un’intensa reazione di stress da parte dell’organismo, l’attenzione dell’individuo deve essere tutta focalizzata su quello che sta succedendo e cervello e sistema immunitario operano assieme.

C’è da dire che citochine e interleuchine sono elementi molto piccoli che possono diffondere e circolare all’interno dell’organismo e quindi l’azione di WT1 non è circoscritta alla zona del cervello che stiamo studiando noi, ma interessa altre regione cerebrali, più o meno distanti, coinvolte in circuiti mnemonici diversi.

Qual è il vantaggio di identificare proteine che reprimono la memoria?
In effetti quello che chiediamo più spesso a medici e ricercatori è riuscire ad aumentare la memoria, per curare tutta una serie di malattie neurodegenerative come l’Alzheimer. Ma credo sia altrettanto importante avere la possibilità di reprimere alcuni eventi mnemonici per mantenere una certa omeostasi e plasticità a livello cerebrale e consentire all’individuo di avere memoria disponibile per l’apprendimento.

Abbiamo infatti visto che se sottoponiamo ratti e topi a due eventi mnemonici molto ravvicinati nel tempo, quando WT1 è repressa gli animali imparano molto bene il primo test ma non sono più capaci di imparare il secondo, anche se molto significativo o indispensabile per la sopravvivenza. È come se il primo evento producesse una risposta mnemonica esagerata tale da precludere la possibilità di imparare una cosa che si verifica subito dopo nel tempo.

Nel nostro caso specifico, il primo evento era un test di memoria spaziale piuttosto semplice che i roditori con poco WT1 apprendevano più facilmente rispetto ai roditori con livelli normali di WT1. Il secondo evento invece coinvolgeva la memoria emotiva, se vogliamo fare un parallelo con le persone potrebbe essere uno shock emotivo particolarmente importante. Gli animali non erano però in grado di imparare questa seconda cosa, nemmeno se più significativa della prima. Per la prima volta, quindi, è stato individuato un gene importante non solo per la memoria a lungo termine ma anche per garantire una certa plasticità cerebrale e la capacità di imparare più cose contemporaneamente.

Quali sono le prospettive future del tuo lavoro?
Nell’animo sono una chimica farmaceutica perciò vorrei che tutta questa ricerca si traducesse in una cura o in un farmaco per una malattia. Un modello patologico che può essere ricollegato alle situazioni che studio è il disturbo post-traumatico da stress, che non ha terapie efficaci se non il sostegno psicologico e psicoterapeutico e il trattamento con antidepressivi. Si potrebbe pensare di manipolare la memoria per aiutare i soggetti che ne soffrono a dimenticare l’evento che genera sofferenza e trauma.

Leggi anche: La strategia del cervello, che fa replay per aiutare a ricordare

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

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Luisa Alessio
Biotecnologa di formazione, ho lasciato la ricerca quando mi sono innamorata della comunicazione e divulgazione scientifica. Ho un master in comunicazione della scienza e sono convinta che la conoscenza passi attraverso la sperimentazione in prima persona. Scrivo articoli, intervisto ricercatori, mi occupo della dissemination di progetti europei, metto a punto attività hands-on, faccio formazione nelle scuole. E adoro perdermi nei musei scientifici.