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Ecco come mangiano le balene

Sfruttando alcuni sensori di nuova generazione i ricercatori hanno potuto studiare le abitudini alimentari dei cetacei

La ricerca sul meccanismo di nutrizione dei cetacei getta le basi per progettare e organizzare adeguati piani di conservazione, ma anche per promuovere connessioni tra processi ecosistemici, con inevitabili effetti diretti sulla pesca.Crediti immagine: Michael L. Baird, Wikimedia Commons

RICERCA – Le balenottere si nutrono di creature microscopiche come krill e piccoli pesci. Uno studio dell’Università di Stanford, pubblicato su Current Biology, ci permette per la prima volta di capire l’abile strategia nutritiva di questi cetacei, che si saziano cibandosi di animali minuscoli, spesso più piccoli di una graffetta. I ricercatori sono stati in grado di studiare le loro abitudini alimentari sfruttando alcuni sensori di nuova generazione. Tuffarsi in profondità per riuscire a mangiare del krill richiede alle balene un enorme sforzo: le balenottere azzurre, ad esempio, nuotano alla velocità di 4 metri al secondo e, spalancando le fauci, ingoiano un volume di prede e acqua pari al 140% del proprio corpo.

L’utilizzo di tecnologie innovative ha permesso al team di ricerca di studiare molto più nel dettaglio la tattica alimentare delle balenottere, famiglia di cetacei che comprende le balene blu, le megattere e le balenottere minori. Capire il meccanismo che permette alle balenottere di sopravvivere cibandosi solo di krill e piccoli pesci potrebbe aiutare gli scienziati a progettare adeguati piani di conservazione.

“Questo meccanismo è reso possibile da complessi adattamenti meccanici e anatomici, che permettono alla balena di ingoiare un volume di acqua e cibo superiore al proprio corpo. Per intenderci, nelle balene blu questo volume corrisponde a quello di una piscina o di un scuolabus”, commenta Jeremy Goldbogen, co-autore dello studio e professore di biologia a Stanford.

Per riuscire a ingoiare un’adeguata quantità di krill, le balene devono immergersi nel modo giusto: la mole di materiale in entrata rallenta il cetaceo, che già compie uno sforzo notevole per immergersi fino a 300 metri  di profondità. Le balene aprono le fauci quando si trovano alla massima velocità,  per chiuderle quando tornano a velocità normale.

I sensori utilizzati nella ricerca comprendono una combinazione di accelerometri, magnetometri  e registratori audio. Si erano già effettuati studi precedenti  per indagare il tipo di affondo necessario alle balene per nutrirsi di krill; solo questa volta, però, i ricercatori sono riusciti a elaborare un modello dettagliato. Grazie alla collaborazione del team di ricerca con alcuni ingegneri, le tecnologie sono state adeguatamente miniaturizzate e sono stati montati dei tag  sul dorso di alcuni cetacei in Patagonia, Sud Africa e al largo della costa Ovest degli Stati Uniti.

L’alto grado di precisione delle tecnologie utilizzate ha permesso di stabilire che i tempi di apertura e chiusura delle fauci del cetaceo variano anche a seconda del tipo di cibo che questi si prepara a ingurgitare:  il meccanismo è più veloce coi pesci che col krill, probabilmente in risposta alla loro maggiore capacità di fuga. A partire dall’11 ottobre, quasi tutte le popolazioni di megattere verranno tolte dalla lista delle specie a rischio di estinzione redatta dalla IUCN, l’Unione Internazionale per la Conservazione delle Specie. Tre delle otto specie di balenottere esistenti, invece, rischiano di scomparire per sempre.

Questa ricerca getta le basi per progettare e organizzare adeguati piani di conservazione, ma anche per promuovere connessioni tra processi ecosistemici, con inevitabili effetti diretti sulla pesca. I ricercatori di Stanford sperano di riuscire a portare avanti questi studi, per carpire nuove informazioni e dettagli sulle abitudini alimentari delle balene, prima tra tutte la meccanica dei fluidi che permette ai fanoni di fungere da filtro per la gestione dell’impressionante volume di piccole prede ingoiate dal cetaceo.

Leggi anche: Le buone pratiche dei parchi premiate dalla IUCN

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Sara Moraca
Dopo una prima laurea in comunicazione e una seconda in biologia, ho frequentato il Master in Comunicazione della Scienza della Sissa di Trieste. Da oltre dieci anni mi occupo di scrittura: prima come autore per Treccani e De Agostini, ora come giornalista per testate come Wired, National Geographic, Oggi Scienza, La Stampa.