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Missione Antartide: l’XI spedizione di ricerca di OGS Explora

Studiare il clima del passato per capire il clima del futuro: con questo obiettivo la nave da ricerca italiana partirà tra pochi giorni verso il Mare di Ross in Antartide

SPECIALE GENNAIO – Il 15 gennaio partirà dalla remota città di Hobart, in Tasmania, l’undicesima spedizione (l’ultima è stata dieci anni fa) della nave OGS Explora con a bordo un gruppo internazionale di scienziati, molti dei quali italiani. Direzione: Antartide, il continente di ghiaccio. Precisamente il mare di Ross, un enorme golfo spazzato da venti glaciali e solcato da iceberg in continuo movimento. Una spedizione scientifica, certo, ma anche un’incredibile avventura. L’obiettivo è quello di studiare il clima del passato per comprendere meglio i cambiamenti climatici attuali. Nella pratica, però, che significa? Cosa andranno a studiare e perché proprio laggiù?

Partiamo da alcuni elementi di contesto. Explora è la nave da ricerca italiana con capacità oceaniche, di proprietà dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale (OGS).  Non è una rompighiaccio, sebbene sia dotata di una prua rinforzata. La missione viene effettuata in questo periodo perchè siamo nel pieno dell’estate antartica: il pack si scioglie e permette alla nave di arrivare sul luogo delle ricerche, attorno all’Hillary Canyon, un’enorme gola sul fondo del Mare di Ross.
Pur essendo estate, il tempo non è certo dei migliori, come spiega Michele Rebesco, geologo e ricercatore all’OGS che si imbarcherà sull’Explora: “la durata del tragitto da Hobart varia molto a seconda delle condizioni meteo-marine. Se sono buone – e non succede quasi mai – ci vuole una settimana. Se sono cattive dipende da quanto fuori rotta ti portano”. Per questo la missione ha una finestra operativa abbastanza lunga. Il ritorno a Christchurch, in Nuova Zelanda, è previsto infatti dopo 60 giorni, il 15 marzo.

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Il viaggio di Explora dalla Tasmania verso il Mare di Ross, per rientrare in Nuova Zelanda. Elaborazione grafica di Michele Rebesco

Due mesi possono sembrare tanti, ma in realtà non è così. “Il tempo per la missione operativa è poco. Prima di metà gennaio la barriera di ghiaccio marino che circonda il Mare di Ross non è ancora aperta, dopo i primi di marzo comincia a riformarsi”, spiega Rebesco. Bisogna, insomma, fare presto, e fare bene. Già, ma fare cosa?
L’undicesima missione dell’Explora è finanziata dal Piano Nazionale di Ricerche per l’Antartide e vi partecipano numerosi istituti di ricerca e alcune università italiane: tra gli altri l’OGS, il Centro Nazionale delle Ricerche/CNR, il Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici, il National Oceanography Centre (Gran Bretagna), il Korean Polar Research Institute (Corea) e il First Institute of Oceanography (Cina); le Università di Trieste, Pisa, Parma, Genova e Pavia.

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Un iceberg nel Mare di Ross. Crediti immagine: per gentile concessione di Laura De Santis

Lo scopo generale è raccogliere dati per capire meglio il cambiamento climatico. “Un cambiamento climatico è in atto, come è noto. Per capire quanto le attività umane stiano influenzando i cambiamenti ambientali e quali politiche di mitigazione delle emissioni di gas serra sia necessario attuare, bisogna comprendere qual è la variabilità naturale e quali sono i meccanismi che controllano il clima” spiega Laura De Santis, climatologa da più 20 anni all’OGS, membro anche di questa spedizione in Antartide. “Però non è facile: il sistema climatico è complesso, con numerosi fattori che giocano ruoli diversi e in direzioni diverse. Per di più, la comunità scientifica ha acquisito dati e misure solo da quando ci sono i satelliti, ossia negli ultimi 40 anni. I dati che riguardano il periodo precedente sono relativamente pochi, permettendoci di andare indietro nel tempo di qualche secolo. Questo non basta per le sfide che ci attendono. La concentrazione di anidride carbonica in atmosfera prevista per la fine di questo secolo dagli scenari più ottimisti dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change, l’organismo delle Nazioni Unite incaricato di monitorare il cambiamento climatico) non trova precedenti se non andando indietro fino a oltre 3 milioni di anni fa. Lo scenario più pessimista addirittura ci proietterebbe indietro di 50 milioni di anni”. Sono quindi necessari nuovi dati, e il Mare di Ross è un luogo molto adatto dove reperirli.

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Il Mare di Ross. Crediti immagine: per gentile concessione di Laura De Santis

Come spiegano i ricercatori, il Mare di Ross è un’ampia baia del margine antartico, dove terminano alcuni grandi ghiacciai che drenano la calotta occidentale. Questi ghiacciai, durante le passate fasi glaciali, hanno più volte solcato la piattaforma continentale fino al suo ciglio esterno, scavando profonde valli e depositando sedimenti spessi diversi chilometri. Il Mare di Ross è quindi un archivio paleoclimatico. Non solo. È anche uno dei grandi motori delle correnti oceaniche della Terra, fondamentali per la vita. Il motore è alimentato da un ciclo apparentemente semplice: i venti antartici continuano a staccare, mandare in mare aperto e quindi riformare un sottile strato di ghiaccio superficiale, il pack.

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Il pack spezzato. Crediti immagine: per gentile concessione di Laura De Santis

Il pack è composto quasi totalmente da acqua dolce: in altre parole il sale non viene inglobato nel ghiaccio e rimane nell’acqua liquida, aumentandone la salinità e dunque il peso. Queste gelide e salatissime acque antartiche sprofondano negli abissi oceanici, incanalandosi nei canyon creati durante le precedenti fasi di glaciazione. Mentre le fredde acque si spingono in profondità e a largo vengono sostituite dalle (relativamente) calde acque superficiali, che a loro volta si congelano, rilasciano salinità e il meccanismo ricomincia. Attraverso una serie di forze e correnti, questo movimento viene trasmesso alle acque di tutti gli oceani, trasportando nutrienti, umidità, pioggie e venti attraverso un meccanismo chiamato nastro trasportatore.

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Il meccanismo del nastro trasportatore che attiva la circolazione oceanica globale.

Dunque, il mare di Ross è un luogo importante per due ragioni: attraverso i sedimenti, si può capire di più sul clima del passato (e quindi fare previsioni sul clima del futuro), mentre attraverso lo studio delle correnti si possono ottenere maggiori informazioni sul clima attuale.

A bordo dell’Explora si effettueranno cinque progetti per ottenere i dati necessari, utilizzando principalmente tre metodologie. La prima è quella geofisica: “È un’indagine indiretta, un po’ come un esame radiologico per capire il corpo umano”, spiegano De Santis e Rebesco, “attraverso le prospezioni sismiche e i rilievi batimetrici è possibile ricostruire la geometria superficiale del fondo marino e lo spaccato in sezione al di sotto”. La seconda metodologia è invece di tipo geologico e prevede la raccolta di campioni di fondo marino attraverso i carotaggi. Grazie all’analisi dei fossili, dei composti chimici e mineralogici si potrà ricostruire l’ambiente marino in cui si sono formati i sedimenti. Infine, la terza metodologia è di tipo oceanografico, che permette di ottenere informazioni fisiche e chimiche attraverso l’analisi dell’acqua (salinità, temperatura, direzione, etc).

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Operazioni per rilievo sismico in Antartide. Si vede in primo piano il portale a poppa della nave, dietro la scia aperta nel ghiaccio marino. Nella scia si possono vedere le boe a cui sono agganciati i cannoni aria che generano il segnale acustico. Il cavo sismico che registra il segnale acustico invece è sommerso, più indietro rispetto alla poppa. Crediti immagine: per gentile concessione di Michele Rebesco

A bordo, oltre all’equipaggio e agli scienziati italiani, ci saranno anche due ricercatori inglesi, un cinese, un coreano e una francese, ognuno impegnato nella propria missione. Anzi, non è proprio così, come spiega Rebesco: “Ogni progetto è indipendente, ma alcuni sono sinergici. In ogni caso, siamo tutti – letteralmente – sulla stessa barca. Abbiamo fatto un patto tra noi ricercatori: dobbiamo fare in modo che ogni progetto torni a casa con dei dati. Non è che il primo progetto che si realizza è il più fortunato e poi come va va… collaboreremo e ci adatteremo a fare tutto quello che ognuno di noi può”.

Un’ultima domanda: come ci si prepara ad una spedizione di due mesi in Antartide? “Sarà banale, ma io sto pensando a organizzare tutte le cose che non posso fare, come pagare le bollette che scadono entro la fine di marzo o fare un’assicurazione che comprenda l’invio di tecnici h 24/24 per ogni inconveniente in casa, per aiutare mia moglie”, risponde pragmatico Michele Rebesco. “Al contrario di Michele, non sto facendo assicurazioni per i lavori di casa, dato che a casa rimane mio marito e continuerà a occuparsi lui delle cose di sempre. Si occuperà lui dei nostri figli, da solo e a tempo pieno”, chiosa Laura De Santis, per poi aggiungere, anche lei pragmatica: “Anche se farò venire mia madre dalle Marche ad aiutarlo nelle faccende domestiche!”.
Buon viaggio e buon lavoro!

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