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Avvoltoi da salvare

Le loro caratteristiche li rendono una sorta di barriera naturale che protegge l'uomo dalle malattie derivanti dagli animali in decomposizione. Cosa succederebbe in uno scenario senza avvoltoi?

Consapevoli degli effetti disastrosi che la scomparsa degli avvoltoi può portare, ricercatori e ricercatrici di tutto il mondo si battono da decenni per salvare gli spazzini della natura. Crediti immagine: Abehm-de, Wikimedia Commons

APPROFONDIMENTO – “Ti sei proprio comportato come un avvoltoio!”: non è sicuramente una frase che ci auguriamo di sentirci rivolgere. Questo animale è stato infatti associato, nella nostra cultura, a un comportamento vigliacco, tipico di che approfitta dei momenti di debolezza e delle disgrazie altrui. Il perché è presto detto: le specie appartenenti a questa famiglia di uccelli, infatti, sono tra i rappresentanti più conosciuti – insieme forse alle iene – della categoria dei necrofagi, animali che basano la propria strategia alimentare sul consumo di carcasse.

L’importanza degli spazzini

In realtà questo comportamento, comune alle specie di avvoltoi distribuite in quasi tutti i continenti, è fondamentale sia dal punto di vista ecologico, sia per salvaguardare la salute dell’uomo: se gli avvoltoi non esistessero, si assisterebbe a una proliferazione incontrollata dei cosiddetti necrofagi occasionali, o facoltativi, che potrebbero approfittare dell’aumentata disponibilità di carcasse. Se negli ecosistemi più selvaggi questo rappresenta un problema solo per gli altri animali (con uno spostamento importante degli equilibri alimentari dovuti al fatto che i necrofagi occasionali che così proiferano sono animali carnivori), nelle zone abitate ad approfittarne sarebbero corvi, ratti, cani randagi, il che incrementerebbe la quantità di patogeni veicolate dalle carcasse all’uomo. Una particolarità del metabolismo degli avvoltoi è infatti quella di avere stomaci altamente acidificati, in grado di uccidere la quasi totalità dei virus e dei batteri presenti nelle carcasse. Questa caratteristica, unita al fatto che raramente gli avvoltoi entrano in contatto diretto con gli esseri umani, li rende una sorta di barriera naturale che protegge l’uomo dalle malattie derivanti dagli animali in decomposizione.

Una famiglia a rischio

Purtroppo lo scenario di un mondo senza avvoltoi è ben lungi dall’essere meramente teorico, e ha bensì interessato (e continua ad interessare) milioni di persone in tutto il mondo: negli anni ’80 abbiamo assistito a un declino che ha quasi portato all’estinzione del condor californiano; negli anni ’90 a vedersela brutta è stata l’avvoltoio indiano, mentre negli ultimi anni gli esperti hanno osservato una morìa incontrastata nell’avvoltoio africano.  A cosa sono dovute queste epidemie che hanno colpito, in regioni così lontane tra loro, specie così affini? La causa, anche se con diverse declinazioni, è la stessa:  l’avvelenamento inconsapevole indotto dall’uomo.

In California i condor, animali simbolo della mitologia dei nativi americani, hanno rischiato di scomparire (erano rimasti una ventina di esemplari, ora sono diverse centinaia) perché intossicati da frammenti di piombo che i cacciatori lasciavano nelle viscere degli animali, abbandonate dopo che erano stati sommariamente macellati.

In India circa il 95% degli avvoltoi è scomparso, nell’arco di poco più di un decennio, per colpa di un farmaco veterinario: il diclofenac, un antinfiammatorio utilizzato come analgesico sia nell’uomo sia nel bestiame, è infatti altamente tossico per gli avvoltoi, causando nei volatili un’importante insufficienza renale. Una sola carcassa di un animale trattato con questo farmaco causa un danno enorme, se si considera che può essere utilizzata come “banchetto” da decine, a volte centinaia di avvoltoi. Questo ha portato da un lato al temuto aumento dei cani randagi, vettori della rabbia che, in India, ha ucciso più di 45.000 persone nel periodo che va dal 1992 al 2006; dall’altro ha causato uno scompenso culturale e sociale nella setta Parsi: per migliaia di anni, infatti, i Parsi hanno affidato i loro morti agli avvoltoi, in una cerimonia conosciuta come “Sepoltura del cielo”. La scomparsa di questo animale dal forte valore simbolico ha quindi coinciso, per questo gruppo religioso, con una vera e propria crisi della fede.

Ora, sostiene un gruppo di ricerca dell’Università dello Utah, ad essere in pericolo sono gli avvoltoi africani, vittime involontarie di un avvelenamento programmato, quello nei confronti degli animali predatori: per limitare i danni di leoni e sciacalli sono stati utilizzati, negli ultimi anni, veleni molto potenti; così potenti da trasmettersi dalla carcassa del predatore morto agli avvoltoi, uccidendoli. Inoltre il veleno, si sa, non è selettivo: è capitato così che in Namibia la carcassa di un elefante avvelenato abbia causato la morte di oltre 600 uccelli.
Come se ciò non bastasse si è aggiunta anche l’opera dei bracconieri, che utilizzano volontariamente veleno per intossicare gli avvoltoi ed evitare così che la loro presenza sveli la posizione degli animali uccisi di frodo, come elefanti e rinoceronti.

Non tutto è perduto

Consapevoli degli effetti disastrosi che la scomparsa degli avvoltoi può portare, ricercatori e ricercatrici di tutto il mondo si battono da decenni per salvare gli spazzini della natura: in California, questo impegno si è concretizzato nell’obbligo di utilizzare, nei territori habitat del condor, proiettili privi di piombo.

In India un piano internazionale di comunicazione e sensibilizzazione verso questa problematica ha portato a una progressiva diminuzione dell’uso veterinario del diclofenac a favore di altri farmaci. Inoltre diversi progetti di conservazione e ripopolamento, ai quali partecipa anche un gruppo italiano, stanno lentamente contribuendo al ripopolamento di alcune zone

Sforzi analoghi sono attualmente in corso anche nel continente africano: la speranza, per gli avvoltoi ma anche per l’uomo, è che anche in queste zone questi importantissimi -anche se forse non affascinanti agli occhi dei più- volatili possano planare indisturbati ancora per molto.

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Marcello Turconi
Neuroscienziato votato alla divulgazione, strizzo l'occhio alla narrazione digitale di scienza e medicina.