AMBIENTEricerca

Ipossia: scende l’ossigeno, sale il prezzo dei gamberi

Studiando l'andamento dei prezzi dei gamberi, gli scienziati hanno scoperto che nei mesi di ipossia quelli grossi salgono di prezzo. Ora c'è una correlazione tra le "zone morte" dell'oceano e l'economia.

1024px-grand_isle_-_shrimp_stew
Nel Golfo del Messico il basso livello di ossigeno nell’acqua rallenta la crescita di pesci e crostacei. Crediti immagine: thepipe26, Wikimedia Commons

AMBIENTE – Le zone ipossiche sono più famose come “zone morte”, un soprannome che si sono guadagnate perché al crollare dei livelli di ossigeno gran parte della vita marina muore o, nel caso dei pesci, se ne va. In alcune aree costiere, come nel Golfo del Messico (tra i più grandi golfi del mondo e teatro del disastro Deepwater Horizon), l’ipossia non ha causato la scomparsa di tutte le forme di vita, ma la scarsità di ossigeno rallenta significativamente la crescita dei pesci e dei crostacei.

Oltre agli ovvi sconvolgimenti ambientali, la conseguenza è stata un aumento del prezzo dei gamberi di dimensioni più grandi in confronto a quelli più piccoli. Gli scienziati hanno pubblicato i risultati sulla rivista The Proceedings of the National Academy of Sciences; sarebbe la prima prova tangibile di come le zone ipossiche del golfo, in corrispondenza delle coste di Louisiana e Mississippi, hanno un’impatto sull’economia su tutti i livelli. Consumatori, pescatori e un’industria ittica che era un tempo tra le più redditizie degli Stati Uniti. Gran parte dei gamberi Farfantepenaeus aztecus che si consumano nel Paese proviene da qui, dove la pesca al gambero si fa 12 mesi l’anno.

Martin Smith, professore della Nicholas School of the Environment alla Duke University e primo autore dello studio, ha analizzato con i colleghi l’andamento mensile dei prezzi dei gamberi a partire dal 1990 fino al 2010. La loro analisi ha mostrato chiaramente che nei mesi in cui l’effetto dell’ipossia è più grave (tra la fine della primavera e l’estate) ci sono picchi nei prezzi degli esemplari più grandi a discapito dei gamberi più piccoli. I pescatori catturano pochi gamberi grossi in questo periodo, così il prezzo di questi ultimi sale e crea un disturbo a breve termine sul mercato che è possibile identificare e tracciare. Secondo Smith questi dati dovrebbero aiutare economisti e policymaker a quantificare il valore della riduzione dei contaminanti che raggiungono gli oceani.

L’ipossia, infatti, è la conseguenza dell’afflusso in mari e oceani di grandi quantità di azoto e fosforo, contenuti soprattutto negli scarichi industriali. Questi contaminanti promuovono la fioritura di grandi quantità di alghe che consumano l’ossigeno, i cosiddetti blooming, rendendo le aree in cui prosperano inospitali per altre specie e portando alla fine alla formazione delle zone morte.

Finora è stato difficile trovare un legame tra l’ipossia e l’andamento economico, dice Smith, perché i ricercatori si sono concentrati sulla quantità del pescato durante gli eventi ipossici e non sulla fluttuazione dei prezzi. Un approccio che però non funziona, perché i pescatori non subiscono passivamente il cambiamento. Reagiscono a un ambiente che si modifica andando a pescare da un’altra parte, cambiando così le condizioni anche nei luoghi che non stanno subendo l’ipossia. Il che rende ancor più complicato quantificare il fenomeno e i suoi impatti sugli stock ittici e sulle economie che da questi dipendono.

“Nella scienza, solitamente, si cerca di confrontare un gruppo o un’area minacciati con un qualche tipo di controllo. Quando i pescatori rispondono all’ipossia spostandosi, compromettono la nostra capacità di usare le aree non ipossiche come controllo”, conferma Smith in un comunicato. Il monitoraggio degli scienziati è arrivato fino al 2010, ma le condizioni ambientali non sono particolarmente migliorate e anche per gli organismi di controllo, tra fenomeni climatici estremi e ipossia, fare previsioni in prossimità delle zone morte è molto complicato.

I record di precipitazioni in Louisiana e Texas, nel 2016, hanno fatto sì che grandi quantità di acqua dolce arrivassero fino alla costa. Il che, avvertivano gli esperti della National Oceanic and Athmospheric Administration (NOAA), ha probabilmente concentrato i giovani gamberi nelle baie, dove l’acqua dei fiumi incontra quella dell’oceano, lontano dagli habitat in cui crescono normalmente e dove le loro probabilità di sopravvivenza sarebbero più elevate. Per di più, a metà 2016 sia in Texas sia in Luisiana le acque costiere presentavano ancora bassissimi livelli di ossigeno, fattori estremi che rendevano difficile stabilire la quantità dei gamberi: era possibile che le condizioni inospitali li avessero spinti ad allontanarsi dalle aree del campionamento, dove c’erano poco ossigeno e ridotta salinità.

@Eleonoraseeing

Leggi anche: Trivelle, cosa dice la scienza?

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Condividi su
Eleonora Degano

Eleonora Degano

Editor, traduttrice e giornalista freelance
Biologa ambientale, dal 2013 lavoro nella comunicazione della scienza. Oggi mi occupo soprattutto di salute mentale e animali; faccio parte della redazione di OggiScienza e traduco soprattutto per National Geographic e l'agenzia Loveurope and Partners di Londra. Ho conseguito il master in Giornalismo scientifico alla SISSA, Trieste, e il master in Disturbi dello spettro autistico dell'Università Niccolò Cusano. Nel 2017 è uscito per Mondadori il mio libro "Animali. Abilità uniche e condivise tra le specie".