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Progetto Italian Limes: una nuova idea di confine, tra ecologia, politica e ghiacciai

Nato come progetto di ricerca visiva, Italian Limes mette in evidenza come i confini siano influenzati alla complessità dei processi ecologici, e strettamente legati alle tecnologie e convenzioni che utilizziamo per rappresentarli.

SPECIALE FEBBRAIO – Tutto è partito da una cartolina del Passo del Brennero, datata anni Settanta. L’immagine che Marco Ferrari, designer dello studio Folder, tiene in mano rappresenta una strada sopraelevata che corre veloce lungo il confine tra Italia e Austria.

Da questo  è partito un progetto che all’inizio doveva solo esplorare nuove forme di design, ma che ha fornito un importante contributo anche alla scienza. Italian Limes è nato come progetto di ricerca visivo su come, nel tempo, siano cambiati i confini tra Austria e Italia; le sue installazioni sono state esposte anche alla Biennale di Venezia nel 2014, dove hanno ricevuto la Menzione Speciale da parte della giuria internazionale.

Un’idea che nasce dal connubio della relazione tra due concetti profondi: uno più fisico, legato al paesaggio, alla montagna e ai ghiacciai, e l’altro legato all’idea di confine, che è fortemente cambiata nel corso del tempo. Dal 1990, grazie all’abbattimento del muro di Berlino e all’istituzione del trattato di Schengen, l’Europa ha sperimentato una nuova idea di confine, dettata dalla libertà di poter circolare liberamente per una buona porzione di continente.

Il confine settentrionale italiano si snoda per quasi 2000 chilometri, da Muggia (Trieste) verso ovest, attraversando le Alpi,  fino a Ventimiglia  nell’estremo Levante ligure. È un tracciato che segue la geometria della linea spartiacque, che separa i bacini idrografici adiacenti attraverso tutto l’arco alpino.

Il progetto analizza gli effetti del cambiamento climatico sullo scioglimento dei ghiacciai alpini e il conseguente spostamento dello spartiacque che definisce i confini nazionali di Italia, Austria, Svizzera e Francia. Indagando il fragile equilibrio dell’ecosistema alpino, Italian Limes mette in evidenza come le frontiere naturali siano continuamente soggette alla complessità dei processi ecologici, e strettamente legate alle tecnologie e convenzioni che utilizziamo per rappresentarle.

“Durante la nostra ricerca ci siamo poi imbattuti in un’eccezione nell’ordinaria amministrazione delle relazioni diplomatiche tra stati. A causa del ritiro dei ghiacciai alpini, la displuviale – che corre su ghiacciai perenni alle altitudini più elevate – si è spostata considerevolmente negli ultimi anni. Fra il 2008 e il 2009, il Governo Italiano ha quindi dovuto negoziare una nuova definizione delle frontiere con Austria, Francia e Svizzera, introducendo nella legislazione nazionale il concetto inedito di confine mobile, e negando così la possibilità di determinare con certezza i propri confini. Ogni due anni un’apposita commissione, composta per metà da tecnici dell’Istituto Geografico Militare (IGM) e per l’altra metà da rappresentanti degli istituti cartografici dei Paesi confinanti, ripercorre l’intero tracciato del confine di stato, per determinare gli spostamenti della superficie glaciale e stabilire il nuovo confine”, spiega Ferrari.

Il primo caso di studio del progetto Italian Limes, presentato alla Biennale nel 2014, è stato effettuato  sul ghiacciaio del Similaun, dove il confine fra Italia e Austria corre per circa 1,5 km a un’altitudine di 3330 m sul livello del mare. Questo costituiva un caso di studio ideale per due ragioni principali: la lunghezza relativamente contenuta di questo tratto di confine mobile ne rendeva possibile la misurazione sul campo; inoltre, precedenti interviste avevano permesso di appurare che in quella posizione il confine si fosse spostato in modo evidente.  Il 2 aprile 2016 il gruppo di ricerca ha installato una seconda serie di sensori sulla superficie del ghiacciaio della Grava, ai piedi del Monte Similaun, a 3300 m sul livello del mare. I dati sono stati raccolti durante tutta la primavera e l’estate 2016.

“Noi ci siamo occupati della parte glaciologica e geofisica del progetto”, spiega Aldino Bondesan, professore associato di geomorfologia all’Università di Padova e membro del Comitato Glaciologico Italiano.

I colleghi dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale di Trieste con il professor Roberto Francese dell’Università di Parma hanno condotto indagini geofisiche, in particolare indagini georadar per la ricostruzione della topografia subglaciale, scoprendo che il ghiacciaio della Grava è ospitato al fondo di una conca molto profonda.

Il ghiacciaio è stato studiato anche dal punto di vista sismico, in modalità sia attiva sia passiva. L’uso della tecnica passiva, in ambito glaciale, è un recente sviluppo metodologico che viene portato avanti insieme a Stefano Picotti e Massimo Giorgi dell’INOGS di Trieste, e che ha già visto diverse campagne di prospezioni geofisiche nei principali ghiacciai italiani, francesi e svizzeri.  Si tratta di utilizzare le vibrazioni, naturalmente presenti nell’ambiente (che attraversano costantemente la Terra e che sono prodotte dal vento, dal traffico veicolare, dalle onde del mare e da altre sorgenti), per ottenere informazioni sullo spessore del corpo glaciale e sulle proprietà dello stesso ghiaccio, dei detriti basali e delle rocce incassanti. Le misure di sismica attiva sono state condotte con un “fucile sismico” in grado di generare artificialmente onde elastiche che penetrano all’interno della massa glaciale.

Una volta comprese le caratteristiche più interne del ghiacciaio e ricostruita la morfologia del substrato, Bondesan si è occupato di misurare il cambiamento di posizione che la fronte glaciale aveva subito dagli anni precedenti, insieme alle serie temporali di variazione di temperatura e precipitazioni. “Abbiamo ormai un secolo di registrazioni che interessano tutto l’arco alpino, raccolte ogni anno da decine di volontari sui principali ghiacciai alpini, e disponiamo quindi di dati  precisi sull’andamento del clima”, continua Bondesan. Questa misura ha un enorme valore statistico, quando la si applica a un elevato numero di ghiacciai. In diversi ghiacciai viene eseguita anche la misura del bilancio di massa, una misura più sofisticata rispetto al semplice spostamento della fronte; in questo ambito, i dispositivi utilizzati per il progetto Italian Limes sono particolarmente interessanti, perché consentono un monitoraggio in tempo reale, una modalità di registrazione del dato innovativa, che pone la ricerca in corso all’avanguardia per quanto riguarda l’impiego di sensori tecnologicamente avanzati in ambiente estremo”.

La tecnologia dei sensori, così piccoli e a basso costo, è recente e quindi l’esperienza di Italian Limes rappresenta un’importante pietra miliare per l’innovazione della ricerca glaciologica in tempo reale.

“Solitamente, si effettua un rilievo della fronte una volta l’anno e i dati vengono confrontati con quelli dell’anno precedente. Solo su pochi ghiacciai si effettuano rilievi topografici periodici di tutta la superficie, perché è estremamente costoso. Grazie a questa rete di sensori fissi, invece, possiamo avere un dato ben più ricco rispetto al bilancio di fine anno: otteniamo così un monitoraggio dello stato di salute dei ghiacciai in tempo reale”, spiega Bondesan.

L’esperienza del 2016 è servita come palestra, per individuare accorgimenti tecnici e tecnologici che devono essere apportati ai sensori per le ricerche future.  “Sarebbe interessante poter estendere questo tipo di informazione a una rete di ghiacciai, per la prima volta si otterrebbe così un monitoraggio in tempo reale della variazione del bilancio di massa e della risposta climatica glaciologica. Questo aprirebbe nuove e interessanti possibilità nel mondo della ricerca per lo studio del global change”, conclude Bondesan, “Inoltre, la riduzione dei ghiacciai può diventare un problema serio in termini di risorsa idrica per la produzione di energia elettrica, e il drammatico ritiro al quale stiamo assistendo negli ultimi anni rappresenta un segnale d’allarme che non possiamo più ignorare”.

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Sara Moraca
Dopo una prima laurea in comunicazione e una seconda in biologia, ho frequentato il Master in Comunicazione della Scienza della Sissa di Trieste. Da oltre dieci anni mi occupo di scrittura: prima come autore per Treccani e De Agostini, ora come giornalista per testate come Wired, National Geographic, Oggi Scienza, La Stampa.