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Cosa rende una città sostenibile?

Entro il 2030, 4,9 miliardi di persone vivranno in un contesto urbano. La sfida sarà quella di conciliare una qualità di vita adeguata per tutti e un modello sostenibile di abitabilità.

Zurigo è stata valutata come la città più sostenibile secondo l’Arcadis Sustainable City Index 2016. Crediti immagine: A. Tigelaar, Wikimedia Commons

SPECIALE MARZO – Cosa significa esattamente “città sostenibile”? Come cambierà l’abitare in un questi spazi? Le città sostenibili miglioreranno le nostre vite? Lo studio dei fattori che possono determinare una soddisfacente qualità di vita non può esimersi dal prendere in esame i luoghi dove questa vita si svolgerà, ovvero gli spazi urbani.

Come ben si intuisce dal grafico sottostante, durante il ventesimo secolo l’urbanizzazione è cresciuta esponenzialmente e anche per le prossime decadi probabilmente il fenomeno non conoscerà battuta d’arresto.

La percentuale della popolazione urbana mondiale è aumentata da un 13% del 1900 al 29% nel 1950 e, secondo il rapporto delle Nazioni Unite 2005 Revision of World Urbanization Prospects, ha raggiunto il 49% nel 2005. Entro il 2030, il 60% della popolazione mondiale vivrà nelle città. Trasformando queste percentuali in numeri, si comprende come la popolazione urbana sia passata dai 220 milioni del 1900 ai 732 milioni di persone del 1950, per poi raggiungere i 3,2 miliardi nel 2005. La popolazione urbana mondiale è quindi quintuplicata dal 1950 al 2005. Entro il 2030, 4,9 miliardi di persone vivranno in un contesto urbano.

Secondo i dati elaborati dalle Nazioni Unite, la popolazione mondiale che vive in contesti urbani è aumentata di cinque volte dal 1950 al 2005.

Ovviamente, a livello mondiale esistono differenze significative: come vediamo nel grafico sottostante, attualmente il tasso di urbanizzazione è già molto alto in Nord e Sud America, Europa e Australia. Percentuali decisamente inferiori interessano l’Asia e l’Africa.

La percentuale di persone che vivono in contesti urbani non è uguale in tutti i continenti.

La crescente urbanizzazione pone molte sfide al contesto attuale: se è vero che la vita delle persone si concentrerà sempre più nelle città, è chiaro che questi luoghi dovranno essere progettati e organizzati secondo modelli che permettano una qualità di vita adeguata e un modello sostenibile di abitabilità.

“Negli ultimi anni l’innovazione si è spostata dal puro oggetto architettonico (edificio) alle relazioni che l’architettura genera con le altre scienze (città). Sembrerà paradossale, ma la più grande innovazione nel campo dell’architettura è la ricostruzione del suo sapere urbano. Dopo la caduta dell’economia occidentale, con la definitiva scomparsa del costoso sistema delle archistar, figlie di un deviato sistema finanziario, la più straordinaria innovazione che stiamo vivendoè la riscoperta delle cose quotidiane, del risparmio, della parsimonia, della misura nella città. In questo, la tecnologia del costruire è la vera innovazione che ci aspetta e andrà di pari passo la tecnologia dell’abitare. Fare architettura, oggi, significa essenzialmente dedicarsi alla costruzione di un modo di vivere, collettivo e tecnologico. Questo significa che il nostro vivere sarà necessariamente sostenibile. Tecnologicamente sostenibile”, ha chiarito in un’intervista Emanuele Saurwein, architetto svizzero esperto in tecnologie dell’abitare e risparmio energetico.

Quali sono i pilastri di questa sostenibilità? Secondo l’Arcadis Sustainable City Index 2016, l’indice più autorevole nel settore a cui fa spesso riferimento anche il World Economic Forum, i parametri principali da considerare sono tre. Il primo è la social performance, che include anche la qualità di vita delle persone: in questa categoria vengono registrati parametri come l’aspettativa di vita, l’obesità, l’equità nelle remunerazioni, il crimine, la difficoltà con cui viene acquistata una casa, il costo della vita, la work-life balance. Il secondo parametro fa riferimento a fattori legati all’ambiente, come l’energia, l’inquinamento e le emissioni: vengono qui registrati i consumi energetici, l’utilizzo di energie rinnovabili, la quota di rifiuti riciclati, le emissioni di gas serra, le catastrofi naturali, la potabilità dell’acqua e l’inquinamento dell’aria. Il terzo indice fa riferimento alla salute “finanziaria” di persone e industrie, e registra parametri come le prospettive imprenditoriali, la semplicità con cui si può avviare un’attività, l’importanza della città nello scenario globale del business. Lo scorso anno, le 10 città che sono risultate essere più sostenibili per l’Arcadis Index sono state Zurigo, Singapore, Stoccolma, Vienna, Londra, Francoforte, Seoul,  Amburgo, Praga e Monaco. Con sole due eccezioni, nella top ten trionfano le città europee; la Germania riesce a conquistare ben tre posizioni tra le prime dieci.

La sfida, comunque, rimane il bilanciamento tra le tre componenti considerate. Se è vero che le città che occupano la top ten vantano mediamente ottimi risultati in almeno due indici, non si sono registrati casi in cui si sia riscontrato un’ottima performance per tutti e tre i pilastri. La sfida, chiariscono gli autori dello studio, è proprio riuscire a bilanciare le tre categorie di parametri: questo è l’unico modo con cui si potrà garantire la sostenibilità dell’ambiente urbano nel lungo periodo.

“Il modello immobiliare è diverso rispetto al passato, si è passati dall’importanza del contenitore (edifici) a quella dei servizi. La domanda è oggi più interessata alla qualità della vita che all’immobile in senso stretto. Dall’idea di possedere la casa si passa al concetto di un ambiente domestico che veicola esperienze e permette un’interazione personalizzata con gli spazi. Ogni target vive la città e lo spazio domestico in maniera propria e grazie alle nuove tecnologie possiamo personalizzare queste relazioni”, ha spiegato per un articolo di wired.it Marco Sagnelli, architetto progettista di Milano4you, la prima smart city che verrà realizzata a partire da zero a Segrate, in provincia di Milano.

La tecnologia, quindi, può essere il motore ideale per avviare una relazione costruttiva tra le persone e gli spazi che vivono, in un contesto che tenga conto della diversità degli interessi in gioco. Alcuni esempi, in tal senso, arrivano dai progetti del Wbcsd, World business council for sustainable development, che sta promuovendo una serie di iniziative per la sostenibilità degli ambienti urbani. Energy efficiency in building, per esempio, punta a lavorare sulla catena del valore locale del settore costruttivo, per ridurre l’impatto complessivo degli edifici sul clima e sul fronte energetico.

“Il periodo che abbiamo davanti sarà per necessità propria contaminato, ibridato, eteroclito. Il risultato degli anni scorsi è una montagna di rifiuti, culturali e fisici. La mia accezione è positiva, nel senso che dopo le grandi esperienze pure e ideali della modernità , che ha cambiato il mondo definitivamente, entriamo ora in un processo creativo fatto di esperienze frammentate. I frammenti sono quelli della modernità  – la nostra eredità –  e quelli delle attuali tecnologie innovative (biotecnologie, protesi artificiali, la rete, la robotica). Questa contaminazione tra ciò che è stato e ciò che sarà è l’essenza stessa del fare architettura nei prossimi anni. Le tecnologie che saranno utilizzate sono già in atto e passeranno attraverso il processo costruttivo (pratico) dell’architettura e meno da quello formale (ideale). In questo senso e per sintetizzare tutte le tecnologie che porteranno a chiedersi il “come” delle cose, piuttosto che il “perché” sono tecnologie che influenzeranno direttamente la costruzione dell’architettura”, conclude Saurwein.

Leggi anche: Quanto sono inquinate le città italiane?

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Sara Moraca
Dopo una prima laurea in comunicazione e una seconda in biologia, ho frequentato il Master in Comunicazione della Scienza della Sissa di Trieste. Da oltre dieci anni mi occupo di scrittura: prima come autore per Treccani e De Agostini, ora come giornalista per testate come Wired, National Geographic, Oggi Scienza, La Stampa.