SALUTE

Medici e infermieri: troppi i non vaccinati

1 su 10 sarebbe suscettibile al morbillo e solo 1 su 3 ha fatto il vaccino antinfluenzale, ma a rimetterci sono i pazienti più vulnerabili. E intanto il dibattito sull'obbligo di vaccinazione per gli operatori sanitari divide.

Sono ancora molti gli operatori sanitari che non ritengono necessario vaccinarsi. Crediti immagine: Rhoda Baer, Wikimedia Commons

SALUTE – La comunicazione da parte degli operatori sanitari – medici ma anche infermieri – è importantissima per rendere le attuali strategie di vaccinazione della popolazione davvero feconde. Eppure, in Italia ci troviamo di fronte a un problema enorme a monte: ancora in troppi casi medici e infermieri sono i primi a latitare nel vaccinarsi perché non si ritiene che le malattie per cui oggi ci si vaccina rappresentino una tale minaccia per la salute pubblica come raccontano Ministero della Salute, Istituto Superiore di Sanità, Organizzazione Mondiale della Sanità e via dicendo. Un dato su tutti: quasi uno su tre fra gli operatori sanitari intervistati non ritiene certi i benefici dei vaccini e teme la possibilità di effetti avversi gravi dopo la vaccinazione, nonostante la copiosa letteratura scientifica recente sull’argomento, che smentisce qualsiasi paura.

Nel mentre, i nuovi LEA pubblicati in Gazzetta il 18 marzo scorso parlano di raggiungere livelli di coperture vaccinali molto elevati per tutti i vaccini introdotti dal nuovo piano vaccinale entro un paio d’anni. Un obiettivo che rischia di rimanere un miraggio – come sottolineava qualche giorno fa a OggiScienza Pier Luigi Lopalco – se non si attua una strategia di comunicazione mirata e onnicomprensiva. A partire dagli operatori sanitari stessi, che rappresentano uno dei primi contatti fra una neo mamma e il sistema sanitario.

Si tratta dei risultati preliminari di un sondaggio online sulle vaccinazioni a cui hanno partecipato 2250 operatori sanitari, prevalentemente infermieri, ma anche medici (il 28,5%) e altri professionisti. I dati sono stati presentati durante la conferenza nazionale Medice, cura te ipsum, tenutasi in questi giorni a Pisa, organizzata da SIMPIOS (Società Italiana Multidisciplinare per la Prevenzione delle Infezioni nelle Organizzazioni Sanitarie).
Anche se preliminari (la survey è su base volontaria e non rappresenta un campione statisticamente significativo), i dati sono comunque interessanti. Considerando infatti che i partecipanti sono un campione viziato “in positivo” dalla vicinanza alle società scientifiche indirizzate alla prevenzione che hanno sostenuto il convegno, è infatti difficile pensare che le opinioni degli operatori sanitari italiani in generale possano essere molto più favorevoli di quello che emerge da questa indagine a cui hanno partecipato prevalentemente donne (72,8%), con oltre 15 anni di anzianità di servizio (64,1%), e per lo più in ospedale.

I problemi qui sono almeno due: da un lato l’importanza che gli operatori sanitari siano fra i primi a fare corretta informazione, in un contesto come quello italiano, specie fra i neo-genitori, così caotico e ricco di cattiva informazione. Ma c’è anche un altro aspetto, non secondario a questo: il fatto che non vaccinandosi per primi, medici e infermieri sono essi stessi esposti a malattie come l’influenza, potendo potenzialmente infettare i pazienti. Sempre dalla survey emerge infatti che oltre il 40% degli intervistati non si è sottoposto al richiamo per il tetano negli ultimi 10 anni e solo uno su 3 dichiara di aver fatto il vaccino antinfluenzale nella stagione appena conclusa: la metà dei medici intervistati e meno di uno su quattro tra infermieri e altri operatori. In altre parole, stando a questi primi dati medici e infermieri si vaccinano di meno rispetto alla popolazione generale.

Negligenza o ignoranza? Evidentemente ogni persona ha qui le sue personalissime ragioni, ma un dato che parla chiaro c’è: meno della metà degli intervistati (44%) ritiene che il proprio rischio di contrarre una malattia prevenibile con vaccino sia basso, e solo la metà (49%) pensa che non essere vaccinati possa danneggiare i pazienti ricoverati.

Le evidenze scientifiche però dicono il contrario. Stando agli ultimissimi dati pubblicati da EpiCentro, il portale dell’Istituto Superiore di Sanità dedicato all’epidemiologia, circa il 10% dei casi notificati finora in Piemonte, Lombardia e Lazio riguarda infatti operatori sanitari o comunque persone legate in qualche modo agli ambienti ospedalieri. In Toscana il fenomeno è ancora più evidente: nei primi due mesi del 2017, un caso di morbillo su tre si è verificato in operatori sanitari. Nelle due province di Pisa e Firenze, dove la circolazione ospedaliera è stata più marcata, la percentuale sale al 50%. Nel dettaglio, in Piemonte dal dicembre 2016 al 22 marzo 2017 le segnalazioni di morbillo sono state 334, di cui 30 contagi avvenuti in ambiente ospedaliero: 23 sono operatori sanitari e 7 sono pazienti ricoverati; solo 2 degli operatori sanitari coinvolti erano vaccinati, però con 1 sola dose di vaccino, tutti gli altri soggetti erano non vaccinati. In Lombardia si parla di 14 operatori sanitari contagiati su 149 casi totali al 24 marzo, e nel Lazio 26 su 244 al 26 marzo.

Intanto il dibattito incalza, e c’è chi fra chi fra gli esperti intervenuti al convegno pisano ritiene che sarebbe giusto obbligare chi lavora a contatto con i malati a vaccinarsi. Uno su 10 fra gli operatori sarebbe infatti suscettibile per esempio al morbillo. Il nuovo Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale 2017-2019 è chiaro in materia: “Tutti gli operatori sanitari suscettibili a morbillo e rosolia dovrebbero essere vaccinati”, si legge nella parte dedicata all’eliminazione del morbillo e della rosolia. “Se non ci si vuole vaccinare, non si dovrebbe ottenere l’idoneità a svolgere mansioni a contatto con i pazienti più fragili”, dichiara per esempio Maria Grazia Pascucci, pediatra e referente per il programma vaccinale della Regione Emilia Romagna.
Vi sono tuttavia dei casi, come il tetano, che è una malattia infettiva ma non contagiosa da persona a persona, in cui non è facile deliberare, come sottolinea durante il convegno Massimo Valsecchi, già direttore del Dipartimento di prevenzione dell’USSL di Verona, uno dei protagonisti della decisione di sospendere l’obbligo per i vaccini dell’infanzia della rosolia.

Il dibattito insomma è acceso, ma fra le varie posizioni che sono emerse durante la tavola rotonda, una colonna portante rimane fortemente condivisa da tutti i partecipanti: non è tollerabile che un medico o un infermiere suscettibile a un’infezione potenzialmente fatale come il morbillo lavori a contatto con pazienti ad alto rischio.

Per chi lo desiderasse, è ancora possibile partecipare al sondaggio, che sarà accessibile fino al 15 aprile prossimo a questo link.

@CristinaDaRold

Leggi anche: Vaccini e screening: qualche dato sulla prevenzione in Italia

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Cristina Da Rold
Giornalista freelance e consulente nell'ambito della comunicazione digitale. Soprattutto in rete e soprattutto data-driven. Lavoro per la maggior parte su temi legati a salute, sanità, epidemiologia con particolare attenzione ai determinanti sociali della salute, alla prevenzione e al mancato accesso alle cure. Dal 2015 sono consulente social media per l'Ufficio italiano dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.