AMBIENTEricerca

Pescati con il cianuro: la ricerca chimica in aiuto dei pesci tropicali

La maggior parte dei pesci tropicali importati negli Stati Uniti è stata catturata con il cianuro di sodio, una pratica illegale e dannosa per l'ambiente. Gli scienziati cercano un modo per contrastarla.

I pesci tropicali utilizzati per popolare gli acquari sono spesso catturati utilizzando il cianuro di sodio, un composto tossico per i pesci e le barriere coralline. Crediti immagine: NOAA Photo Library, Flickr

AMBIENTE – Secondo un rapporto della National Oceanic and Atmospheric Administration americana, pubblicato nel 2008, fino al 90% dei pesci tropicali che arrivano negli acquari statunitensi è stato catturato con il cianuro di sodio. Una pratica illegale ma ancora molto diffusa per poter soddisfare la richiesta di pesci d’acquario; se da una parte molti negozi hanno adottato un approccio “amico della barriera”, mostrando le certificazioni sulla provenienza dei pesci, un altro strumento utile è l’app Tank Watch che indica chiaramente i “good fish” e i “bad fish” in base a come arrivano nei nostri acquari.

Il cianuro di sodio è un composto chimico altamente tossico per i pesci tropicali, ma anche per le barriere coralline in cui abitano – nelle quali può causare lo sbiancamento – e per gli altri organismi. Molti pescatori in Sri Lanka, Filippine e Indonesia lo spruzzano direttamente sui pesci, che colpiti dal cianuro faticano a respirare e a muoversi, non hanno equilibrio, il che li rende molto facili da catturare perché sono praticamente storditi.

Perché continua a esiste questa pratica? Per capirlo possiamo guardare alla portata del mercato acquaristico: ogni anno vengono commerciati tra i 20 e i 30 milioni di pesci d’acqua salata, circa dieci dei quali vengono importati dagli Stati Uniti. Il mercato è stimato intorno ai 200 milioni di dollari l’anno. Allo stesso tempo sono pochissime le specie che è possibile riprodurre con successo in cattività: tra loro ci sono alcuni gobidi, come Tigrigobius multifasciatus, ma anche vari pesci pagliaccio, i famosi “Nemo” come Amphiprion allardi, A. clarkii, il pesce pagliaccio delle Maldive, A. nigripes, e quello marrone, Premnas biaculeatus.

Di recente il laboratorio del biologo Kevin Barden, il Tropical Aquaculture Lab dell’Università della Florida, in collaborazione con la Rising Tide Association è riuscito a riprodurre in cattività per la prima volta anche il pesce chirurgo azzurro (Paracanthurus hepatus), la famosa Dory. Al momento, le Dory degli acquari di tutto il pianeta sono pesci catturati nel loro ambiente naturale, proprio come i pesci farfalla filamentosi (Chaetodon auriga), le damigelle verdi (Chromis viridis, al momento il pesce da acquario più importato negli USA) e le damigelle coda gialla (Chrysiptera hemicyanea).

Per contrastare la pratica della pesca con il cianuro, gli scienziati stanno lavorando a un modo più rapido per controllare i pesci e individuare così i pescatori colpevoli. Alcuni risultati promettenti arrivano dal lavoro del gruppo di Andrew Rhyne della Roger Williams University, che ha appena presentato i primi dati al National Meeting & Exposition of the American Chemical Society, negli Stati Uniti. La chiave? È proprio la chimica.

Insieme ai colleghi, Rhyne sta progettando uno strumento che stia comodamente in una mano e permetta di valutare i pesci tropicali che arrivano a riva, a centinaia sulle imbarcazioni dei pescatori, in pochissimo tempo e sul posto. Al momento questo tipo di test richiede che i pesci e l’acqua in cui sono trasportati vengano inviati in laboratorio, un metodo che richiede tempo ed è anche molto costoso. Decisamente inefficace per una pratica che seppur illegale viene ancora praticata su larga scala e resta difficile da monitorare. Per i colpevoli, identificati di rado, è prevista l’incarcerazione dai cinque ai dieci anni e il pagamento di una multa.

L’intuizione dei ricercatori è stata di sfruttare le porfirine, molecole organiche molto diffuse in natura (un esempio è l’emoglobina nei globuli rossi, o i citocromi) e la loro capacità di legare il tiocianato, un metabolita secreto dai pesci che sono stati esposti al cianuro di sodio. Quando questo legame si verifica, la chimica delle porfirine cambia e con loro il colore. Che nel giro di 5-10 minuti segnala chiaramente come è stato catturato il pesce che sta nuotando – o si riprende dallo stordimento – in quell’acqua.

Il prossimo obiettivo per Rhyne e colleghi – che sperano in uno o due anni di avere pronto il loro prototipo – sarà testare diverse metallo-porfirine per valutarne l’efficacia e trovare un metodo rapido per creare i sensori, che per i primi esperimenti hanno montato a mano. L’ultimo passo sarà progettare lo strumento vero e proprio, che dovrà ospitare i sensori ed essere portatile e pratico.

@Eleonoraseeing

Leggi anche: I pesci, perfetti organismi modello per gli studi etologici

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.

Condividi su
Eleonora Degano

Eleonora Degano

Editor, traduttrice e giornalista freelance
Biologa ambientale, dal 2013 lavoro nella comunicazione della scienza. Oggi mi occupo soprattutto di salute mentale e animali; faccio parte della redazione di OggiScienza e traduco soprattutto per National Geographic e l'agenzia Loveurope and Partners di Londra. Ho conseguito il master in Giornalismo scientifico alla SISSA, Trieste, e il master in Disturbi dello spettro autistico dell'Università Niccolò Cusano. Nel 2017 è uscito per Mondadori il mio libro "Animali. Abilità uniche e condivise tra le specie".