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I metalli pesanti aggrediscono la savana

La presenza massiccia di metalli pesanti, derivanti soprattutto dalle attività di estrazione, ha provocato uno squilibrio nell'ecosistema con conseguenze per la biodiversità.

Sono state studiate le aree circostanti le miniere in Namibia, riscontrando la presenza di arsenico, cromo, rame, piombo e zinco nei suoli per valori superiori a 11 volte il limite consentito. Crediti immagine: Pixabay

SPECIALE MAGGIO – L’ambiente della savana e l’uomo sono da sempre legati da un rapporto di reciproca influenza. Se da un lato la Savanna hypotesis rappresenta un tassello importante nel mosaico della teoria dell’evoluzione dell’uomo, c’è anche da tener conto l’ipotesi che parte della savana stessa sia stata modellata principalmente dalla presenza di popolazioni in migrazione, circa 3000 anni fa, e non dagli effetti di un cambiamento climatico regionale. Oggi, la savana non è certo risparmiata dalla human footprint: l’uomo, in tempi relativamente brevi, ha occupato circa l’80% della pianeta, influenzando pesantemente biodiversità ed ecosistemi – ad eccezione di pochi ‘territori selvaggi‘, come l’Alaska, gli altipiani del Tibet e della Mongolia, e parte del Rio delle Amazzoni.

A non risentire in qualche modo della presenza umana nella savana sono forse solo le aree protette dai parchi naturali, come il Parco Nazionale Segerenti in Tanzania, tra le riserve più grandi dell’Africa. Dove presenti, invece, le attività antropiche, dalle più antiche come agricoltura e allevamento fino alle costruzioni di strade, città e il traffico dei mezzi di trasporto, hanno delle conseguenze difficili da sopportare per l’ecosistema di territori fragili per natura e già sofferenti per la siccità e il cambiamento climatico. L’impatto di tutte queste attività si caratterizza soprattutto per la liberazione di particelle inquinanti e composti tossici nell’atmosfera, in acqua e nei suoli.
Per esempio, colture apparentemente semplici ma fondamentali per la sopravvivenza di diversi paesi Africani, come quella del cotone, fanno uso di quasi un quarto di tutti i pesticidi venduti nel mondo, nonostante i campi di cotone coprano meno del 5% delle superfici coltivate del Pianeta. Queste enormi quantità di prodotti chimici tossici vengono poi spesso usate con dosaggi fuori controllo, ignorando le precauzioni stabilite per legge.
Sono in generale i metalli pesanti come il piombo, l’arsenico, lo zinco, il cobalto, il bromo, i principali prodotti della presenza dell’uomo ad inquinare l’aria, le falde e i suoli. Queste sono tra le sostanze in assoluto più pericolose per la salute, considerando anche che riescono a raggiungere facilmente il nostro organismo attraverso l’acqua e il cibo. Colpiscono in particolare fegato, cuore, reni, ossa e nervi, possono arrestare i processi cellulari e provocare perdita di memoria, insufficienza renale e altri sintomi.

Metalli fuori controllo

L’accumulo di metalli pesanti che affligge la savana africana è un problema già noto da tempo dagli epidemiologi. Sono state studiate per esempio le aree circostanti le miniere in Namibia, riscontrando la presenza di arsenico, cromo, rame, piombo e zinco nei suoli per valori superiori a 11 volte il limite consentito. Questa presenza così massiccia di metalli pesanti derivanti dalle attività di estrazione ha provocato uno squilibrio nell’ecosistema della vegetazione circostante, uccidendo le piante meno tolleranti e favorendo l’espansione di specie più resistenti. Si registra una riduzione di copertura arborea e di manto erboso, e le piante che riescono a occupare queste nicchie ecologiche sono comunque portatrici di metalli pesanti in modo difficilmente monitorabile, il rischio che finiscano nella catena alimentare è quindi molto alto.

In alcuni casi, sono le stesse piante a poter essere utilizzate come sensori naturali per quantificare questo tipo di inquinamento. In Nigeria, per esempio, è stato condotto uno studio, pubblicato sull’International Journal of Environment and Pollution sui licheni e le briofite, un tipo di muschio, registrando un accumulo in questi di circa 500 milligrami di metalli pesanti per chilogrammo di massa vegetale.
Sempre in Nigeria, sono stati valutati i rischi per la salute derivanti dal consumo di frutta e verdure contaminate in uno studio pubblicato su Chemistry Central Journal. La regione analizzata fa parte dello stato di Imo, una delle aree più ricche di risorse naturali in tutta l’Africa. Prima che arrivasse l’ingombrante presenza dell’uomo, parte di questa regione vantava anche una vegetazione forestale lussureggiante e ricca di terreni adatti alla coltivazione – la zona delle foreste pluviali in passato era particolarmente affollata di alberi di caucciù, palma, mogano.
I tossicologi coinvolti nella ricerca hanno rilevato, anche qui, quantità fuori controllo di cadmio, piombo e nichel nei suoli destinati alle coltivazioni di frutta, cereali e verdura.
Questi dati raccolti nella savana del sud-est della Nigeria rivelano che i raccolti di mais, soia e riso, così come diversi frutti come i mandarini e gli ananas, contengono livelli insostenibili di piombo (3, 5 gr per Kg) e cadmio (0,03 gr per Kg).

La vita della savana minacciata dal piombo

Si tratta di numeri davvero allarmanti: gli standard internazionali per il contenuto di metalli pesanti nei cibi definiti dalla FDA (Food and Drug Administration) e dalla Commissione Europea, stabiliscono un massimo di 6 parti per milione per il piombo e 0,1 per il cadmio. In questo caso, invece, solo il cadmio raggiunge quota 34 parti per milione, mentre in alcune radici commestibili il contenuto di piombo e cadmio arrivano a 19 e 49 parti per milione rispettivamente.

La letteratura sull’inquinamento da metalli pesanti nei suoli africani si è arricchita negli ultimi anni, dimostrando che dopo decenni di coltivazione incontrollata si può parlare per esempio di una vera e propria emergenza piombo nella savana. Sebbene si siano anche raffinate le informazioni sulla distribuzione dell’inquinamento da piombo nei terreni agricoli,  manca ancora un piano mirato di bonifica di questi terreni e una qualche forma di prevenzione.
Non è solo l’Africa a soffrire di avvelenamento da piombo, ma in altri paesi l’allerta rimane più alta con interventi forse più tempestivi, per esempio  in diversi centri urbani del Stati Uniti, un contesto ambientale differente ma dove a essere colpiti sono, anche qui, soprattutto le fasce di popolazione più povere, come gli afro americani.

Sembra insomma che abbassare il trend di avvelenamento da metalli pesanti, piombo in particolare, sia tra le priorità da affrontare oggi per il binomio savana-uomo.

Leggi anche: Savana e dintorni: 4 specie a rischio ma lontane dai riflettori

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Marco Milano
Dopo gli studi in Scienza dei Materiali si è specializzato in diagnostica, fonti rinnovabili e comunicazione della scienza. Da diversi anni si occupa di editoria scolastica e divulgazione scientifica. Ha collaborato, tra gli altri, con l’Ufficio Stampa Cnr e l’agenzia Zadig.