SALUTE

Screening per il cancro all’ovaio

Raccomandazioni e prospettive nel giorno dedicato alle donne.

Carcinoma ovarico mucinoso a bassa malignità. Crediti immagine: Wikimedia Commons

SALUTE – Lo screening per il cancro all’ovaio non è raccomandato nelle donne senza familiarità e in assenza di sintomi. Sono le raccomandazioni dello US Preventive Service Task Force (USPSTF) pubblicate su JAMA a seguito della revisione di quattro trial clinici randomizzati: il PLCO (Prostate, Lung, Colorectal and Ovarian cancer screening), il QUEST (Quality of Life, Education, and Screening Trial), condotti in America, lo UKCTOCS (UK Collaborative Trial of Ovarian Cancer Screening) e lo UK Pilot, condotti in Gran Bretagna.

Questa raccomandazione non vale, invece, per le donne con precedenti familiari: si tratta di donne portatrici di mutazioni dei geni BRCA1 e BRCA2, ovvero con un’alta probabilità, circa l’80%, di venir diagnosticate per il cancro all’ovaio o al seno. Nel 2013 Angelina Jolie sconcertò l’opinione pubblica con il suo editoriale sul New York Times, “My medical choice”, in cui raccontava la sua scelta di sottoporsi a una doppia mastectomia. Due anni dopo, sempre sul NYT, Angelina affermava: “c’è più di una scelta quando si devono affrontare dei problemi legati alla salute. Quello che conta è conoscere quali sono le opzioni possibili e capire qual è la migliore per la propria situazione”. L’attrice americana aveva appena affrontato anche l’asportazione di entrambe le ovaie e tube di Falloppio, in linea con le attuali conoscenze scientifiche sul tumore ereditario all’ovaio: la salpingo-ooforectomia riduce dell’80% la possibilità di ammalarsi.

Ma per “tutte le altre”, che sono la maggioranza, che cosa resta da fare? “L’ideale sarebbe un trial randomizzato che dimostri la diminuzione della mortalità per cancro all’ovaio tra le donne sane che si sono sottoposte allo screening rispetto a quelle che non l’hanno fatto” afferma Karen H. Lu del MD Anderson Cancer Center di Houston nell’editoriale che accompagna lo studio su JAMA. Ma le conclusioni della review, purtroppo, indicano il contrario e non solo: lo screening per questo tipo di tumore può essere dannoso a causa dell’alto tasso di falsi positivi.

“Nessuno studio ha dimostrato una riduzione in mortalità per carcinoma ovarico derivante dall’effettuazione dello screening” afferma Stefania Gori, presidente dell’Associazione italiana di oncologia medica (AIOM) e direttrice del Cancer Center dell’Ospedale Sacro Cuore di Negrar a Verona. “Sono stati segnalati, come avviene in questo tipo di studi, percentuali variabili (dal 3% all’11%) di donne con test falsamente positivi e di donne (1%-3%) che sono state avviate per questo all’intervento chirurgico (con tutte le problematiche connesse) per sospetto cancro, senza successivo riscontro di tumore”. Lo screening per il cancro all’ovaio consiste in un’ecografia transvaginale e nel dosaggio del cancer antigen 125 (CA-125) nel sangue. “Sulla base di tali risultati, afferma Gori, lo screening per questo tipo di tumore non è oggi raccomandato nelle donne asintomatiche non ad alto rischio per il carcinoma ovarico”.

Il tumore all’ovaio è raro, negli Stati Uniti 11.4 casi su 100.000 con 14.000 decessi all’anno, ma primo per mortalità tra i tumori ginecologici. Nelle donne sane e senza familiarità si manifesta dopo i 45 anni. “In Italia” racconta Stefania Gori “l’80% dei casi di carcinoma ovarico viene diagnosticato in fase avanzata. Questo spiega i 3.130 decessi del 2014 (dati ISTAT) e il fatto che, pur essendo un tumore raro, rappresenti in Italia la quarta causa di morte per tumore nelle donne fino a 49 anni di età e la quinta nelle donne tra i 50 e i 69 anni. È il decimo tumore diagnosticato nel sesso femminile in Italia con 5.200 nuovi casi ogni anno, circa 15 nuovi casi ogni 100.000 donne”.

La diagnosi precoce nelle donne asintomatiche per un tumore a così elevata mortalità è un’arma sulla quale la medicina attuale nutre molte speranze. Tuttavia, il rapporto rischio-beneficio non è ancora a favore di uno screening allargato perché i dati fino ad oggi disponibili dicono che il test CA-125 è ancora troppo aspecifico e quindi non completamente affidabile per una diagnosi certa. Tuttavia, dopo undici anni di follow-up, lo UKCTOCS ha rilevato come il gruppo con monitoraggio annuale dei livelli dell’antigene tumorale conti meno decessi rispetto al controllo. Un dato incoraggiante ma non significativo a livello statistico, anche se gli autori del trial clinico inglese, pubblicato su Lancet nel 2016, ritengono siano necessari altri tre anni di monitoraggio delle pazienti coinvolte nello studio per avere una risposta più chiara.

Sul fronte della prevenzione, purtroppo, “non esistono particolari indicazioni per le donne asintomatiche non ad alto rischio” afferma Gori “ma sappiamo invece che nelle donne ad alto rischio di sviluppare un carcinoma ovarico nel corso della loro vita, perché portatrici di mutazioni a carico dei geni BRCA 1 e/o BRCA 2, è indicato un attento monitoraggio con esecuzione di CA-125 ed ecografia trans vaginale ogni 6 mesi, a partire dai 30 anni d’età, al fine di diagnosticare un tumore ovarico in fase iniziale”. Una volta esaudito il desiderio di prole, dovrebbe essere “valutata” in queste donne l’effettuazione di una “eventuale chirurgia profilattica per ridurre drasticamente il loro rischio di sviluppare nel corso della vita un carcinoma ovarico” conclude Gori.

A dare ulteriori prospettive è Steven N. Narod, uno dei massimi esperti mondiali, che ha contribuito all’identificazione dei geni BRCA1 e BRCA2. Nel suo editoriale, pubblicato su Jama Internal Medicine all’uscita della review, scrive: “Nonostante l’accurata raccomandazione dello USPSTF, non dobbiamo abbandonare l’idea di uno screening allargato per il tumore all’ovaio. Nell’arco di due anni abbiamo capito che le forme più gravi hanno origine nelle tube di Falloppio, dove ci sarebbe quindi un segnale precursore non ancora identificato. Il tasso di sopravvivenza a cinque anni per i tumori diagnosticati in questa fase è dell’83,2%. Per aumentare ulteriormente il tasso di sopravvivenza” afferma il ricercatore canadese “auspichiamo nuove tecniche di imaging e di indagine molecolare ad hoc, grazie alle quali le linee guida sullo screening potrebbero presto includere le lesioni e i piccoli tumori delle tube di Falloppio”. Un aiuto che, secondo Karen H. Lu, potrebbe arrivare dalla scoperta di nuovi biomarker tumorali attraverso lo studio dei campioni biologici delle donne asintomatiche che poi si sono ammalate di questa rara forme di tumore.

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Federica Lavarini
Dopo aver conseguito la laurea in Lettere moderne, ho frequentato il master in Comunicazione della Scienza "Franco Prattico" alla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati di Trieste (SISSA). Sono giornalista pubblicista e scrivo, o ho scritto, su OggiScienza, Wired, La Lettura del Corriere della Sera, Rivista Micron, Il Bo Live, la Repubblica, Scienza in Rete.