TRIESTE CITTÀ DELLA CONOSCENZA

Dalla medicina alla paleontologia con la tomografia a raggi X

Di questo si occupa Lucia Mancini, ricercatrice presso la linea di luce SYRMEP del sincrotrone Elettra di Trieste e responsabile del laboratorio TomoLab di Elettra.

Nel 2012 ci sono stati portati dei reperti trovati in una grotta a Ostuni: si trattava di un feto di una donna che apparteneva al paleolitico superiore trovato assieme allo scheletro della mamma. Crediti immagine: Scientific Reports

TRIESTE CITTÀ DELLA CONOSCENZA – La microtomografia è una tecnica molto simile alla tomografia che si fa in ospedale, la TAC: se nella TAC il paziente è fermo e le sorgenti si muovono, nel caso della microtomografia a raggi X il detector e la sorgente sono fissi e quello che si muove è il campione. Quest’ultimo, in particolare, viene installato su uno stage di rotazione: a diversi step di rotazione, e in modo regolare, vengono acquisite delle radiografie dell’oggetto con un detector digitale. Poi le immagini vengono combinate per ottenere un’immagine virtuale tridimensionale del campione. Si parla di microtomografia proprio perché la risoluzione spaziale è dell’ordine della frazione di micron fino ad alcune decine di micron, mentre nella TAC la risoluzione è della frazione del millimetro.

Di microtomografia a raggi X si occupa Lucia Mancini, ricercatrice presso la linea di luce SYRMEP del sincrotrone Elettra di Trieste e responsabile del laboratorio TomoLab di Elettra.

Qual è la differenza tra la linea SYRMEP e il TomoLab?

Entrambi gli strumenti permettono di ricostruire virtualmente, in modo tridimensionale, i campioni e permettono di andare a guardare le caratteristiche interne di un oggetto senza danneggiarlo in alcun modo. Le tecniche che si usano nei due laboratori sono le stesse ma con diverse caratteristiche del fascio di raggi X: alla linea SYRMEP si usa la luce di sincrotrone mentre al TomoLab si usa una sorgente convenzionale. Utilizziamo i due laboratori in modo totalmente complementare perché laddove servono le caratteristiche uniche della luce di sincrotrone lavoriamo alla linea SYRMEP, laddove questo non è indispensabile, o magari servono delle informazioni complementari come per esempio un volume più grande dell’oggetto a risoluzione più bassa, allora usiamo anche il TomoLab.

Com’è nato TomoLab?

È nato da una collaborazione con l’università di Trieste, in particolare con il laboratorio di ingegneria e architettura e con il dipartimento di odontoiatria. Abbiamo costruito uno strumento completamente personalizzato, ovvero basato su disegni e progetti realizzati qui a Elettra, per fare esperimenti in tomografia ad alta energia e risoluzione medio-alta che allo stesso tempo permettesse di lavorare sia in assorbimento sia in condizioni di contrasto di fase. Quest’ultima tecnica permette di aumentare la visibilità di oggetti molto piccoli perché si enfatizzano i loro bordi; allo stesso tempo permette di individuare materiali presenti in un campione che hanno assorbimenti molto simili tra di loro e che non distingueremmo in un’immagine convenzionale in assorbimento.

Quali analisi avete già effettuato con questo strumento?

Abbiamo analizzato una grandissima varietà di campioni: lavoriamo su campioni biomedicali, su materiali innovativi come compositi e schiume metalliche, legno, alimenti; lavoriamo molto anche in ambito geologico, archeologico e paleoantropologico.
Il laboratorio è aperto agli utenti dal 2005 e adesso lo stiamo potenziando aggiungendo una nuova stazione che permetterà di analizzare campioni più grandi ed a più alto assorbimento dei raggi X. Si presterà quindi molto bene per studiare campioni archeologici e paleoantropologici che spesso sono grandi e massivi.

A proposito delle analisi paleoantropologiche, la scorsa estate avete pubblicato su Scientific Reports un articolo dal tema particolarmente interessante, di cosa si trattava?

Da alcuni anni collaboriamo con l’Università Sapienza e con i colleghi del Museo delle civiltà di Roma. Nel 2012 ci sono stati portati una porzione di mandibola di un feto trovato in una grotta a Ostuni, vicino a Brindisi: si trattava di un feto di una donna che apparteneva al paleolitico superiore, ovvero circa 27000 anni fa, trovato in perfetto stato di conservazione assieme allo scheletro della mamma.

In questo caso specifico erano coinvolti nella ricerca anche gli scopritori del reperto paleoantropologico, Donato Coppola dell’Università di Bari e alcuni colleghi dell’ICTP di Trieste. Coppola ci ha dato una porzione della mandibola di questo feto e abbiamo potuto analizzare sia l’osso, con all’interno uno dei dentini decidui del bambino, sia altri due dentini che erano al di fuori della mandibola.

Quello che volevamo studiare in questi denti erano le caratteristiche fini dello smalto: lo smalto è come un archivio biologico all’interno del quale sono racchiuse tutta una serie di informazioni. Per esempio, il rapporto tra il volume dello smalto e il volume della dentina che esso racchiude dice a che tipo di ominide appartiene il dente, oppure lo smalto ci può dare indicazioni sulla dieta dell’individuo, il modo in cui si è evoluta una certa specie o se ci sono state delle patologie o degli episodi di stress. Studiando le caratteristiche fini dello smalto, in particolare dei denti da latte dei bambini, è possibile andare a studiare anche l’età al momento della morte perché lo smalto si accresce giornalmente nei denti in formazione: contando gli strati è possibile risalire all’età dell’individuo.

Quando avete pubblicato lo studio su Scientific Reports la notizia ha fatto un po’ il giro del mondo, cosa avete individuato in particolare?

Quello che abbiamo scoperto è che l’età del bambino e della mamma si poteva stabilire tra la trentunesima e la trentatreesima settimana di gestazione, in contraddizione con precedenti studi che avevano stimato la morte tra la trentaquattresima e la trentaseiesima settimana. In più, all’interno dello smalto, sono state visualizzate tre linee particolarmente marcate che si possono attribuire a periodi di stress del bambino e di conseguenza della madre, avvenuti negli ultimi due mesi e mezzo di gestazione.

Questo significa che probabilmente la madre ha avuto delle patologie o periodi di stress che sono stati la causa della morte precoce del bambino, anche se non possiamo sapere esattamente quale patologia abbia avuto.

Come mai lo studio è stato fatto nel 2012 ma è uscito nel 2017?

Non è una cosa tanto strana perché i campioni studiati mediante micortomografia richiedono molto lavoro in termini di analisi dell’immagine e di interpretazione. Nel caso specifico, comunque, la cosa è ancora più interessante. Abbiamo potuto effettuare le analisi abbastanza presto ma, con le metodologie che avevamo al momento, non riuscivamo a vedere quasi nulla di interessante: non si vedevano, per esempio, le caratteristiche fini dello smalto. Abbiamo così dovuto lavorare a un protocollo di analisi specifico sia per il conteggio delle linee dello smalto, sia per quanto riguarda l’analisi delle immagini. Quindi è stato necessario proprio costruire gli strumenti più idonei!

Di cosa vi state occupando al momento e quali sono le prospettive future?

Con il gruppo di Roma abbiamo recentemente analizzato altri denti del periodo degli antichi romani e precedenti. Per quanto riguarda invece altri ambiti, mi sto occupando anche di applicazioni geologiche: studio molto le rocce vulcaniche cercando di capire i meccanismi delle eruzioni per trovare il modo di prevederle.
Nello specifico cerchiamo di capire come avvengono i diversi tipi di eruzione, quali sono i fenomeni all’interno del magma e per questo utilizziamo una tecnica che è lo stato dell’arte nel campo della tomografia a raggi X ovvero la tomografia 4D, la tomografia dinamica.
Quello che facciamo è prendere un campione e analizzarlo in condizioni dinamiche, per esempio ad alta temperatura, con trattamenti meccanici e così via. Cerchiamo quindi di vedere l’evoluzione nel tempo dei cmapioni, di filmare tale evoluzione in 3D e di ricreare le condizioni di un eruzione.

SCHEDA DELLA RICERCATRICE

Nome: Lucia Mancini
Nata: Pescara
Lavora a: Elettra – Sincrotrone Trieste
Formazione: Fisica con dottorato in scienza dei materiali
Il mio gruppo di ricerca: Lavoro alla linea di luce SYRMEP di Elettra e sono responsabile del laboratorio TomoLab ad Elettra
Cosa amo più del mio lavoro: È un lavoro molto vario perché ho a che fare con persone sempre diverse, che lavorano nelle più disparate discipline ma sempre allo stato dell’arte della ricerca in quel campo. Ho quindi la fortuna di imparare moltissimo da loro e dalle loro discipline
La sfida principale del mio ambito di ricerca: Proprio perché ho a che fare con persone che lavorano in ambiti molto diversi, che vanno dalla medicina alla biologia, dalla scienza dei materiali alla paleoantropologia, la sfida è cercare di stabilire un linguaggio comune per capirsi, comunicare e lavorare assieme.

Leggi anche: Come il cervello rappresenta il mondo

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Condividi su
Livia Marin
Dopo la laurea in fisica presso lʼUniversità di Trieste ho ottenuto il Master in Comunicazione della Scienza della SISSA. Sono direttrice responsabile di OggiScienza dal 2014 e, oltre al giornalismo, mi occupo di editoria scolastica.