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Diatomee solari

Nanotecnologie naturali: il guscio delle diatomee, antichissimi organismi marini unicellulari, potrebbe essere la base di una nuova tecnologia per l’energia solare, di efficienza molto superiore alle tradizionali celle solari al silicio.

Le diatomee esistono sulla Terra – anzi nel mare – da oltre cento milioni di anni e, alla base della catena alimentare, costituiscono una buona parte della vita marina. Vere opere d’arte naturali, questi piccoli organismi sono protetti da una corazza rigida dalla foggia fantasiosa e altamente simmetrica, che potrebbe essere usata per creare ordine in modo naturale, a una scala di dimensioni “nano” – 10-9 m.

I ricercatori dell’Università di Stato dell’Oregon (OSU) e dell’Università di Stato di Portland, usando la biologia anziché il convenzionale approccio basato sui semiconduttori, hanno messo a punto un nuovo metodo per costruire celle solari a pigmenti sensibili alla luce. In questo tipo di pannelli i fotoni rimbalzano come dentro a un flipper andando a colpire il pigmento e producendo energia elettrica. La nuova tecnologia basata sulle diatomee potrebbe rivelarsi un po’ più costosa di quella tradizionale ma andrebbe a produrre fino tre volte l’energia.

“La gran parte delle cellle solari oggi si basa sul silicio e ormai abbiamo quasi raggiunto i limiti di quello che si può ottenere da questo approccio,” spiega Greg Rorrer, chimico della OSU. “L’opportunità oggi di sviluppare diversi tipi di tecnologia solare è enorme, e molto probabilmente molte di queste tecniche troveranno un uso pratico, a seconda della situazione.”

Le celle basate su pigmenti per esempio sono ecologicamente più sostenibili e hanno bisogno di meno luce per funzionare. Nel nuovo sistema le diatomee vive vengono”coltivate” su una superficie di vetro trasparente e conduttivo. Poi il materiale organico vivente viene rimosso. Gli scheletri che rimangono sulla lastra di vetro vanno a formare una sorta di “calco”.

Successivamente un agente biologico fa precipitare del titanio solubile sottoforma di nanoparticelle di diossido di titanio creando una pellicola sottile che funziona proprio come il materiale semiconduttore delle classiche celle a pigmento fotosensibile. Questo passaggio è normalmente molto difficile da ottenere, ma con l’ausilio delle diatomee diventa estremamente semplice ed econoo
mico.

La fisica dietro questo processo non è ancora stata compresa del tutto, ma evidentemente funziona. I piccoli buchi nei gusci delle diatomee sembrano aumentare l’interazione fra i fotoni e il pigmento, migliorando la produzione energetica.

I risultati di questa ricerca sono stati pubblicati sulle riviste ACS Nano e sul Journal of Materials Research.

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Federica Sgorbissa
Federica Sgorbissa è laureata in Psicologia con un dottorato in percezione visiva ottenuto all'Università di Trieste. Dopo l'università, ha ottenuto il Master in comunicazione della scienza della SISSA di Trieste. Da qui varie esperienze lavorative, fra le quali addetta all'ufficio comunicazione del science centre Immaginario Scientifico di Trieste e oggi nell'area comunicazione di SISSA Medialab. Come giornalista free lance collabora con alcune testate come Le Scienze e Mente & Cervello.