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Supernove: tutto parte dai neutrini

Un nuovo modo di analizzare i neutrini emessi da una supernova permetterebbe di stabilire con esattezza il momento in cui la stella originaria è esplosa e ha cominciato a emettere onde gravitazionali. È quanto risulta da uno studio di quattro ricercatori italiani, Giulia Pagliaroli, Francesco Vissani, Eugenio Coccia e Walter Fulgione, che lavorano ai Laboratori Gran Sasso dell’INFN.

La fase finale esplosiva delle stelle molto massicce porta a un tipo molto interessante di supernove. Nella nostra Galassia si verificano circa tre supernove ogni secolo. È famosa la supernova del 1987 esplosa nella Grande Nube di Magellano, una delle due piccole galassie che orbitano intorno alla nostra, circa 168.000 anni luce da qui, e che è stata osservata dagli strumenti di tutto il mondo. Anche se qualche ora prima che la luce dell’splosione diventi visibile, in una supernova si producono neutrini in quantità enormi, della supernova del 1987 gli astronomi ne hanno rivelati solo 24! I neutrini sono particelle molto leggere che quasi non interagiscono con la materia e quindi sono difficilissimi da rivelare.
Oggi ci sono rivelatori molto più efficienti rispetto a vent’anni fa, tuttavia ancora non si conosce veramente che cosa capita durante una supernova e soprattutto non si è ancora in grado di identificare le onde gravitazionali prodotte nell’esplosione selezionandole da tutte le altre onde che pervadono lo spazio e che costituiscono il cosiddetto rumore di fondo.

“Finora tutti hanno pensato di utilizzare le onde gravitazionali per capire meglio i segnali dei neutrini, — ci racconta Francesco Vissani, uno degli autori della ricerca. — Non sappiamo ancora se gli strumenti esistenti sono sufficienti a osservare le onde gravitazionali. Siamo invece sicuri che gli strumenti oggi a disposizione ci consentiranno di “vedere” ogni supernova che esploderà nella nostra Galassia. Così abbiamo ribaltato l’impostazione del problema e abbiamo messo a punto un metodo per utilizzare i neutrini allo scopo di risalire alle onde gravitazionali, che sono generate al momento dell’esplosione della stella.”

Giulia Pagliaroli e colleghi hanno usato un modello di emissione di neutrini da loro precedentemente introdotto e utilizzato per estrarre il massimo delle informazioni dai 24 eventi della supernova del 1987, e l’hanno applicato a una supernova ipotetica posizionata a 65.000 anni luce., cioè ai margini della nostra Galassia. Il modello prevede come cambia la luminosità dei neutrini nel tempo in base alle interazioni con le altre particelle che si trovano intorno al nucleo della stella (elettroni, positroni, protoni e neutroni). Hanno poi calcolato quanti dei neutrini prodotti verrebbero rivelati da un rivelatore composto da 50.000 tonnellate di acqua, simile a quelli esistenti oggi. Con questo metodo messo a punto dai ricercatori del Gran Sasso, i pochi neutrini osservati permetterebbero di risalire alla luminosità della supernova e al momento esatto in cui la stella ha emesso le prime onde gravitazionali, cioè quando l’esplosione è cominciata, con un’imprecisione di soli 10 millisecondi.

Il lavoro, che è stato pubblicato sulla rivista Physical Review Letters (103, 0311102), fa parte della tesi di dottorato di Giulia Pagliaroli ed è stato sottoposto alla rivista  pochi giorni prima del terremoto dell’Abruzzo dove si trovano i Laboratori del Gran Sasso. Giulia, che è nativa di un piccolo paese nelle provincia dell’Aquila, ha difeso la sua tesi proprio sotto una tenda, perché l’Università dell’Aquila era inagibile.

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