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L’evoluzione del gusto

Papille gustative responsabili della percezione dell'amaro (autore Rainer Zenz)
Papille gustative responsabili della percezione dell'amaro (autore Rainer Zenz)

Uno studio pubblicato da un gruppo di ricercatori dell’Istituto di Biologia Evolutiva di Barcellona dimostra come anche l’uomo di Neanderthal, 48.000 anni fa, fosse in grado di percepire il gusto amaro dei cibi che ingeriva. Proprio come l’uomo moderno.

Circa il 70% della popolazione odierna è in grado di percepire l’amaro delle sostanze che ingerisce, mentre il restante 30% non è sensibile ai cibi che hanno questo sapore. Gli appartenenti al primo gruppo vengono definiti taster, mentre i secondi sono chiamati non taster. Tale caratteristica influenza le nostre abitudini alimentari e ci induce a preferire o eliminare dalla dieta determinati cibi.
Il motivo di tutto ciò è scritto nel nostro DNA ed è dovuto a un gene chiamato TAS2R38, responsabile della produzione di recettori gustativi per l’amaro.

Lo studio genetico condotto dal gruppo del dottor Carles Lalueza-Fox dell’Istituto di Biologia Evolutiva di Barcellona ha analizzato il gene TAS2R38 in un campione di osso prelevato da un uomo di Neanderthal rinvenuto nel 2000 a El Sidron, nel nord della Spagna.
I ricercatori hanno estratto il DNA dal fossile d’osso e hanno ottenuto la sequenza del gene specifico per il recettore delle sostanze amare e hanno scoperto che anche 48.000 anni fa, i nostri antenati erano in grado di percepire il gusto amaro dei cibi. Il dato rilevante è che nella loro popolazione, come oggi nella nostra, esistevano due gruppi di persone: quelle capaci di percepire l’amaro e quelli insensibili a questa sostanza.
La ricerca, pubblicata su Biology Letters, dimostra la vicinanza genetica tra l’Homo Sapiens e l’Homo Neanderthalensis, che condividono un gene ereditato da un comune antenato, vissuto più di 300.000 anni fa.
L’abilità di percepire le sostanze amare rappresenta una difesa contro le tossine vegetali e i veleni spesso contenuti in piante dal sapore amaro.
I risultati di questo studio aprono però anche altre prospettive. La presenza di individui portatori del gene che li rende insensibili all’amaro, anche dopo 48.000 anni di evoluzione, suggerisce il fatto che questo tratto genetico si sia conservato per un vantaggio dei portatori.
Questi individui potrebbero essere in grado di percepire la presenza di sostanze ancora sconosciute e inoltre la capacità di mangiare anche cibi amari sembra essere importante, viste le proprietà medicinali di alcuni cibi amari.
“Il TAS2R38 non è l’unico recettore per l’amaro. Ne esistono sicuramente altri per cui, trarre conclusioni assolute, può essere un errore”, ha commentato il professor Paolo Gasparini, direttore della Genetica dell’ospedale materno-infantile Irccs Burlo Garofolo di Trieste. “É indubbio che il fatto che oggi circa il 30% della popolazione non percepisce l’amaro se stimolato dal PTC (phenylthiocarbamide, una sostanza utilizzata per eseguire il test del gusto e discriminare tra individui capaci o incapaci di percepire l’amaro) evolutivamente significa che c’è stato qualche svantaggio, altrimenti ci sarebbe un equilibrio al 50% tra taster e non taster. Questa situazione però potrebbe essere stata almeno in parte controbilanciata per far sì che i non taster siano ancora presenti nella popolazione”.

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