Uncategorized

Pillola abortiva: a che punto siamo

Per l’Agenzia italiana del farmaco, l’Aifa, la Ru486 è pronta per entrare negli ospedali italiani. Non così per il Ministero della salute, che vorrebbe indicazioni più stringenti per un suo utilizzo esclusivo in regime di ricovero. Intanto, c’è chi – come i ginecologi Massimo Srebot e Silvio Viale – continua sulle strade già intraprese.

CRONACA – Più che un iter autorizzativo sembra un percorso a ostacoli, quello che il farmaco Mifegyne, più noto come Ru486 o “pillola abortiva”, sta compiendo per arrivare in commercio. Ed è pure un percorso anomalo, con gli ostacoli che sembrano moltiplicarsi proprio quando dovrebbe avvicinarsi il traguardo. L’ostacolo del giorno è la contrarietà del Ministero della salute di fronte alle ultime posizioni dell’Aifa (Agenzia italiana del farmaco). Posizioni che, di fatto, confermano la volontà dell’autorità nazionale in tema di prodotti farmaceutici a proseguire dritta per la propria strada, verso l’autorizzazione definitiva della pillola.

Al centro del contendere c’è la spinosa questione del ricovero. Per capire di che si tratta, facciamo un passo indietro e vediamo come funziona la pillola per l’aborto farmacologico. La sostanza attiva è il mifepristone, una sostanza che blocca l’azione del progesterone, ormone fondamentale per la gravidanza, perché rende l’utero adatto ad accogliere l’uovo fecondato. In presenza di mifepristone, il progesterone non svolge più il suo compito e la gravidanza si arresta. A distanza di un certo tempo deve essere assunto un secondo farmaco, il misoprostolo, che fa contrarre l’utero, provocando l’aborto, che avviene nelle 24 ore successive, con sintomi simili a quelli di un evento spontaneo (perdita di sangue e dolori un po’ più intensi dei crampi mestruali).

Ora, in molti paesi solo l’assunzione delle pillole avviene in ospedale, mentre dopo la donna può tornare a casa. Ed è proprio questo che, da parte del Ministero, si teme possa accadere in Italia. Se così fosse, infatti, si potrebbe configurare un’incompatibilità con la legge 194 sull’interruzione di gravidanza, che prevede che questa avvenga in un ospedale pubblico.

Ripercorriamo allora l’iter della pillola: il 30 luglio scorso, l’Aifa dice sì alla Ru486, con una delibera che ne autorizza l’ingresso nel prontuario farmaceutico ospedaliero. In altri paesi – nel mondo e in Europa – la pillola è già utilizzata da diversi anni, ma in Italia la ditta produttrice non ne aveva mai richiesto la registrazione. Lo fa nel novembre 2007 e 20 mesi dopo arriva l’ok dell’autorità regolatoria. La strada sembra ormai spianata: mancano solo i tempi tecnici per la pubblicazione dell’autorizzazione sulla Gazzetta ufficiale. Ed ecco che cosa dice la delibera di autorizzazione: “In particolare deve essere garantito il ricovero in una delle strutture sanitarie individuate dall’art 8 della Legge 194/78 dal momento dell’assunzione del farmaco fino alla verifica dell’espulsione del prodotto del concepimento (…)”.

A una prima lettura il passaggio sembra molto chiaro, ma intanto una Commissione d’inchiesta istituita al Senato chiede al Governo un parere legale sulla compatibilità tra pillola e 194 e di rimando il Ministro della salute, Maurizio Sacconi, chiede all’Aifa di individuare modalità precise per far sì che l’interruzione farmacologica di gravidanza avvenga effettivamente in ospedale. Il Ministero, insomma, vuole garanzie chiare che le donne non torneranno a casa ad abortire dopo aver assunto le pillole.

Dopo un consiglio d’amministrazione straordinario, l’Aifa risponde dichiarando – diplomaticamente – condivisione e apprezzamento per l’invito del ministro ma, di fatto, restando sulle proprie posizioni. La sostanza della comunicazione è che non c’è altro da aggiungere rispetto a quanto deliberato il 30 luglio. Del resto, come ha dichiarato oggi il presidente Aifa Sergio Pecorelli al Corriere della Sera, “non spetta a noi stabilire le modalità di dispensazione di un farmaco. Questo è compito di Ministero e Regioni”. Una posizione insoddisfacente per Sacconi, secondo il quale non è ancora stata chiarita la questione della necessità del ricovero in ospedale per l’uso della pillola abortiva.

E a questo punto, allora, che cosa succede? “Succede che aspettiamo la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale e poi vedremo”, ha dichiarato a OggiScienza Silvio Viale, ginecologo all’ospedale Sant’Anna di Torino, il primo a portare in Italia – tra mille polemiche – una sperimentazione sulla pillola abortiva. “In ogni caso, va detto che è sempre difficile stabilire a priori un iter unico e immutabile per queste situazioni. La cosa migliore da fare sarebbe decidere sul momento, in base al quadro clinico di ciascuna paziente”.

E comunque, se anche l’Aifa fornisse indicazioni ancora più stringenti in merito al ricovero, nessuno potrebbe impedire a una paziente di firmare il consenso informato e di tornare a casa dopo l’assunzione delle pillole. “Di fatto, questo è quello che la mia esperienza vede nel 99% dei casi”, afferma Massimo Srebot, direttore del settore di ostetricia e ginecologia della Asl 5 di Pisa, che comprende gli ospedali di Pontedera e Volterra. Da quasi quattro anni, Srebot – che ritiene infondata e capziosa la presunta incompatibilità tra pillola abortiva e legge 194 – importa la Ru486 direttamente dalla Francia per le pazienti che ne facciano richiesta. “Per ora, andremo avanti così, poi si vedrà”.

Certo, la situazione non è ottimale e “puzza” un po’ della classica situazione all’italiana. “Come medico, ritengo fallimentare trovarmi di fronte a pazienti che firmano un consenso informato per andarsene, apparentemente contro il mio parere. Se ci sono le condizioni perché una donna che ha assunto la Ru486 torni a casa ad aspettare l’aborto – e molto spesso ci sono – vorrei che la paziente lo facesse non contro il mio parere, ma con il mio consenso o la mia indicazione”, conclude Viale.

Condividi su
Valentina Murelli
Giornalista scientifica, science writer, editor freelance