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Quanta febbre al Polo Sud?

L’Antartide? E’ come un malato in fase di incubazione… per il momento sta ancora bene, ma la malattia potrebbe scoppiare presto. Questo, almeno, è il quadro che emerge dal primo rapporto sui  Cambiamenti climatici e l’Antartide, pubblicato pochi giorni fa dallo Scar, Scientific Committee on Antartic Reaserch. OggiScienza ne ha parlato con Guido Di Prisco, uno dei relatori del rapporto, già dirigente di ricerca del Cnr e oggi attivamente coinvolto in vari progetti dello Scar.

Ascolta l’intervista integrale di OggiScienza a Guido di Prisco

CRONACA – A differenza di quanto accade al Polo Nord, dove gli effetti del riscaldamento globale – dalla riduzione dei ghiacci alla sofferenza di alcune specie animali – sono già molto evidenti, in Antartide la situazione è ancora contraddittoria . Nella penisola antartica le temperatura a terra e in acqua stanno effettivamente aumentando, i ghiacci si sciolgono e gli animali (per esempio il krill e i pinguini) si spostano alla ricerca di zone più fredde. In altre zone, in particolare intorno al mar di Ross, invece, le temperature addirittura scendono e i ghiacci si ispessiscono.

“Si tratta di un effetto paradossale provocato dal buco nell’ozono”, commenta Guido Di Prisco, tra i relatori del rapporto Antarctic Climate Change and the Environment, pubblicato pochi giorni fa dallo Scientific Committee on Antarctic Reaserch (Scar).  “In pratica, un disastro ambientale provocato dall’uomo – il buco nell’ozono – ci sta aiutando a tenere a bada le conseguenze di un altro disastro ambientale provocato dall’uomo, e cioè il riscaldamento globale”.

Poco a poco, però, il buco si sta chiudendo, obiettivo peraltro auspicabile per varie ragioni, e al quale si sta lavorando da anni a livello internazionale. Questo significa che nei prossimi anni – se non verranno prese le giuste misure di contenimento dei gas serra e di mitigazione dei loro effetti – quello che succede al Polo Nord potrà verificarsi anche al Sud. Con conseguenze ancora più gravi per il clima di tutto il pianeta Terra, che dipende in buona parte proprio dagli equilibri antartici.

“Il rischio, quindi, non è soltanto la perdita di un ambiente dal fascino straordinario, ma anche l’innesco di una reazione climatica a catena, con effetti imprevedibili ma molto probabilmente negativi, su tutto il pianeta”, afferma Di Prisco, che ha cominciato la sua attività in Antartide nel 1982 e da allora ci è stato per un tempo complessivo di tre anni, nel corso di 22 spedizioni scientifiche.

“Studiare da vicino le variazioni ambientali in Antartide, come abbiamo cominciato a fare con questo rapporto e come continueremo a fare in futuro, ci permetterà di elaborare modelli più precisi di quando potrebbe accadere nel resto del pianeta dal punto di vista dei cambiamenti climatici”, prosegue lo scienziato. Certo, per studiare i ghiacci, l’atmosfera e gli organismi dell’Antartide, bisogna andarci e le spedizioni costano molto denaro. Molti paesi, tra cui Corea e Malesia, hanno deciso che vale la pena farlo, mentre negli ultimi anni l’Italia dedica all’Antartide fondi a malapena sufficienti al mantenimento e alla gestione delle basi e di eventuali navi per spedizioni. “Soldi per la ricerca vera e propria non ne rimangono praticamente più”, conclude Di Prisco.

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Valentina Murelli
Giornalista scientifica, science writer, editor freelance