Uncategorized

Cellulari sotto inchiesta

Per la prima volta un tribunale ha riconosciuto l’utilizzo del telefonino come causa di malattia professionale. Ma la sentenza fa discutere. La scienza non ha stabilito la verità

CRONACA – L’utilizzo estensivo del telefono cellulare può provocare un tumore al cervello? Secondo la Corte d’Appello di Brescia, sì. Per la prima volta i giudici di un tribunale hanno accolto la richiesta di riconoscimento per malattia professionale da parte di un ex dirigente di una multinazionale, colpito da un tumore benigno al nervo trigemino dopo aver trascorso anni a parlare al cellulare per diverse ore al giorno. Marcolini ha vinto la sua causa in appello, con una sentenza che ribaltato il verdetto di primo grado. Il caso ora fa discutere. La legge ha sancito una verità che la scienza non ha ancora appurato.

“Allo stato attuale delle conoscenze, ciò che possiamo affermare è che non ci sono evidenze per cui l’esposizione prolungata, fino a 10 anni, alle microonde di bassa potenza emesse dai cellulari comporti un aumentato rischio di sviluppare tumori cerebrali maligni, come i gliomi, o neurinomi benigni del nervo acustico, né altre patologie, come linfomi, leucemie o infertilità”, afferma Paolo Vecchia, dirigente di ricerca dell’Istituto superiore di sanità e presidente della Commissione internazionale per la protezione dalle radiazioni non ionizzanti. “Per quanto riguarda periodi di utilizzo più lunghi, i risultati sono nel complesso rassicuranti. Tuttavia, alcuni studi hanno fornito indicazioni di segno contrario. Le conclusioni sono preliminari e non consentono di stabilire con certezza, ma neppure di escludere con altrettanta certezza, l’esistenza di eventuali rischi”.

Il più vasto studio che ha indagato gli effetti sulla salute dei cellulari si chiama Interphone: è durato 10 anni e costato 30 milioni di euro, ha coinvolto 13 paesi differenti, Italia compresa, e oltre diecimila utenti. Il report finale è in via di pubblicazione, intanto alcuni gruppi hanno reso noti i dati nazionali. Purtroppo non aiutano a sgombrare il campo dai dubbi, anzi. “Nella popolazione svedese è stato rilevato un lieve aumento dei casi tumori del nervo acustico, mentre in Germania un incremento dei gliomi. Si tratta di numeri piccoli e gli effetti si diluiscono se si considera il campione generale”, racconta Vecchia, che ha partecipato alla ricerca italiana.

C’è chi la pensa diversamente. Qualche giorno fa un panel indipendente di esperti, anticipando i risultati di Interphone, lanciava l’allarme con un documento in cui si legge: “l’aumento del numero di casi di cancro cerebrale collegato all’utilizzo estensivo del cellulare, per quanto piccolo, c’è e si può misurare: dopo cento ore di uso del telefono il rischio di neoplasie del cervello crescerebbe del 5 per cento”. Questo avveniva meno di una settimana dopo che un altro importante studio pubblicato sul Journal of the National Cancer Institute assolveva i telefonini.

Insomma, chi ha ragione? “Bisogna contestualizzare i dati: stiamo parlando di malattie rare, che colpiscono cinque persone ogni 100.000 abitanti. Un eventuale incremento del 5% di contrarre il cancro al cervello in seguito a un uso massiccio e decennale dei cellulari, significa che il rischio sale a 5,25 ogni 100.000 persone. Ovvero: si ammalano 2,5 persone in più su un milione. Trattandosi di malattie rare e con esordi tardivi, l’ipotesi di una responsabilità dei telefonini è difficile da verificare”, aggiunge Alessandro Polichetti, direttore del Reparto di radiazioni non ionizzanti del Dipartimento di tecnologia e salute dell’Istituto superiore di sanità. “Considerata la mole di ricerche epidemiologiche condotte e la complessità di ricostruire il tempo trascorso al telefono in base al ricordo dei pazienti, è normale che i risultati non siano sempre concordi. Ma in generale non sembrano esserci motivi seri di preoccupazione”. Lo confermerebbero anche gli studi sugli animali, esposti a livelli di radiazione più elevati, gli studi in vitro sulle cellule e le analisi teoriche.

“Se un rischio c’è, è molto basso e difficilmente riusciremo a dimostrare l’innocuità o la pericolosità del cellulare”, sintetizza Vecchia. “Possiamo escludere che sia cancerogeno, perché non ha l’energia sufficiente per alterare la struttura del Dna. Tutt’al più potrebbe essere un fattore che favorisce lo sviluppo del tumore una volta che si è innescato il processo patologico, ma 10 anni di studi non hanno prodotto indicazioni in questo senso”.

Allora, come mai è stata emessa quella sentenza da parte dei giudici di Brescia? “Non me lo spiego, sono rimasto stupefatto. È scientificamente infondato stabilire una correlazione di causa-effetto tra cellulari e tumori sia per la mancanza di prove definitive sia perché la statistica non si fa su un singolo individuo”. Determinanti per il verdetto dei giudici sono state le perizie di due consulenti: Giuseppe Grasso, medico bresciano, e Angelo Gino Levis, professore in pensione che negli ultimi vent’anni si è fatto paladino della battaglia contro i campi elettromagnetici. “Sostengono tesi in disaccordo con la maggioranza della comunità scientifica”, taglia corto Vecchia.

Ma la controversia rimane. I principali organi sanitari internazionali invitano alla prudenza, nel nome del principio di precauzione. I consigli? Utilizzare il cellulare il meno possibile per lunghe conversazioni, alternare spesso l’orecchio e preferire l’auricolare o il viva-voce. Già a pochi centimetri di distanza, infatti il campo elettromagnetico si riduce notevolmente. Meglio vietarne l’uso ai bambini. “Qualora ci fosse un rischio, attualmente non identificato, i bambini potrebbero essere più vulnerabili per tre motivi: perché hanno un sistema nervoso in via di sviluppo, perché lo spessore della scatola cranica è più sottile e perché, iniziando precocemente, utilizzeranno il telefonino più a lungo”, spiega Vecchia. “Ma il condizionale è d’obbligo”.

Condividi su