CRONACA

Peer review: chi revisiona i revisori?

Le critiche al processo di pubblicazione degli articoli scientifici spingono qualcuno a modernizzare il sistema. Ma i “grandi” restano a guardare…

NOTIZIE – Le dichiarazioni pubbliche di due scienziati inglesi stanno sollevando un polverone, mediatico ma non solo, sul “peer review”, il processo di revisione dei lavori scientifici, universalmente usato dalle riviste specializzate come criterio per la pubblicazione degli articoli. Banalmente ogni lavoro che viene proposto viene revisionato indipendentemente da un certo numero di esperti (anonimi), assegnati dalla rivista. Questo esperti giudicano il lavoro, chiedono approfondimenti ed eventuali modifiche, fino a che l’articolo viene accettato o rifiutato. Come ogni processo basato su “giudici” non è esente da una certa soggettività e da “brogli”. In mancanza di alternative però, fino ad oggi l’opinione diffusa è stata “non è perfetto, ma è il meglio che abbiamo”. Robin Lowell-Badge, esperto di genetica molecolare che si è espresso come parere personale, e Austin Smith, dell’Università di Cambridge, hanno ora però mosso delle accuse precise al sistema, proponendo anche una soluzione.

I due scienziati alla radio e televisione pubblica britannica BBC hanno dichiarato che talvolta può capitare che certi scienziati emettano giudizi negativi sui lavori (o richiedano esperimenti addizionali non necessari) per rallentare il processo nel tentativo di riuscire a far pubblicare prima i propri lavori, o quelli dei loro amici. Già l’anno scorso, 14 scienziati (fra cui lo stesso Smith) avevano mandato una lettera aperta alle maggiori testate specialistiche in cui dichiaravano che “articoli che non sono scientificamente validi o che portano solo innovazioni tecniche modeste spesso ottengono un immeritato rilievo. Allo stesso tempo succede che pubblicazioni con scoperte realmente originali vengano rimandate o rifiutate.” La proposta è dunque quella di far diventare prassi il fatto di pubblicare come materiale supplementare all’articolo anche tutta la storia delle revisioni a cui è stato sottoposto.

C’era da aspettarselo, qualcuno s’è sentito offeso dalle accuse: “non c’è nessuna cricca privilegiata” ha dichiarato Philip Campbell, direttore di Nature. “Non ci hanno convinto a modificare il processo di pubblicazione,” ha spiegato invece Monica Bradford, direttore esecutivo di Science. Non è chiaro perché non si possano rendere pubblici questi documenti, visto che in fondo si tratta di modificare solo l’ultimo passo di un processo che per il resto resterebbe sostanzialmente invariato. La diffusione poi delle versioni elettroniche delle riviste faciliterebbe la pubblicazione di materiale aggiuntivo, senza gravare economicamente sulle risorse delle riviste. I revisori, durante tutto il processo resterebbero comunque anonimi e potrebbero svolgere il loro lavoro senza timore di ricevere pressioni, e solo alla fine dovrebbero mettere “la faccia” sui loro giudizi.

Intanto c’è chi ha sperimentato la trasparenza proposta dagli scienziati: la rivista EMBO (che oltretutto fa parte del Nature Publishing Group) dal primo di  gennaio di quest’anno allega un Review Process File (RPF) a tutti gli articoli, che include la traccia temporale del processo di revisione e tutte le comunicazioni di rilevo, come i commenti dei revisori, le lettere di decisione e le risposte degli autori. Sul sito web, EMBO dichiara che l’esperimento sembra avere successo e di sperare che altri giornali seguano il suo esempio.

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Federica Sgorbissa
Federica Sgorbissa è laureata in Psicologia con un dottorato in percezione visiva ottenuto all'Università di Trieste. Dopo l'università, ha ottenuto il Master in comunicazione della scienza della SISSA di Trieste. Da qui varie esperienze lavorative, fra le quali addetta all'ufficio comunicazione del science centre Immaginario Scientifico di Trieste e oggi nell'area comunicazione di SISSA Medialab. Come giornalista free lance collabora con alcune testate come Le Scienze e Mente & Cervello.