CRONACA

Più magri in alta quota?

L’aria rarefatta di montagna può aiutare gli obesi a perdere peso: lo dice uno studio tedesco. Ma attenzione: non prendiamolo alla lettera

NOTIZIE – Una volta in montagna ci si andava per (tentare di) curare la tubercolosi e le malattie polmonari. Oggi, invece, il gastroenterologo tedesco Florian Lippl ci ha portato un gruppo di pazienti obesi, con l’idea di verificare l’effetto sull’obesità della condizione di ipossia (carenza di ossigeno) tipica delle alte quote .

Che la montagna possa far perdere qualche chilo a chi di solito non ha problemi della bilancia è noto da tempo: merito del fatto che si ha meno appetito, ci si muove un po’ di più e si consuma più energia. La bassa concentrazione di ossigeno, infatti, fa aumentare la velocità di respirazione e del battito cardiaco e, quindi, anche il dispendio energetico. La diminuzione dell’appetito, invece, è probabilmente legata a un aumento dei livelli di leptina, un ormone prodotto dagli adipociti (le cellule del tessuto adiposo) che manda al cervello il segnale di sazietà. Con più leptina in circolo, si avverte meno lo stimolo della fame.

Questo, appunto, per le persone con peso normale. Che cosa succede, invece, agli obesi? E, più precisamente, qual è il ruolo dell’ipossia in un’eventuale diminuzione di peso? Per scoprirlo, Lippl ne ha accompagnati 20 in un rifugio a 2600 m sulla Zugspitze, la montagna più elevata della Germania. I pazienti sono arrivati ail rifugio con fuoristrada e funivie e per tutta la durata del  soggiorno (una settimana) non hanno preso parte a passeggiate o escursioni, ma hanno svolto la stessa attività fisica cui erano abituati “a bassa quota”. Potevano, però, mangiare a volontà.

Ebbene, dopo sette giorni i partecipanti hanno mostrato una diminuzione media del peso di circa 1,5 kg. E si era abbassata anche la pressione (con beneficio per il sistema cardiovascolare). I livelli di leptina, invece, sono risultati più alti. “Tuttavia, ritengo improbabile che la diminuzione di peso osservata sia da imputare all’aumento di leptina, perché in genere i pazienti obesi sviluppano una forma di resistenza a questo ormone: che ce ne sia un po’ di più o un po’ di meno non cambia molto”, afferma Antonio Liuzzi, direttore dell’Unità operativa di medicina interna e coordinatore di ricerca dell’Istituto auxologico di Piancavallo, in Piemonte, che ha un programma speciale per il trattamento delle gravi obesità.

E’ un fatto, comunque, che i pazienti di Lippl hanno mangiato meno del solito durante la loro “vacanza” in montagna, anche se non è del tutto chiaro perché. Secondo il medico, non è escluso che mangiassero meno perché sapevano di essere tenuti sotto controllo. Lippl, tuttavia, ritiene che un ruolo importante nel dimagrimento lo abbia giocato proprio l’aumento del metabolismo. Attenzione, però; questo non significa che basta andare in montagna per dimagrire. “Studi di questo tipo sono molto utili per studiare la fisiologia dell’obesità, ma non sono direttamente trasferibili sul piano clinico”, commenta Liuzzi.

Tra l’altro, il lavoro di Lippl (pubblicato ieri sulla rivista Obesity) è stato criticato da alcuni esperti per la bassa numerosità del campione e per l’assenza di un gruppo di controllo: “Critiche motivate, ma c’è un’attenuante. Svolgere studi in quelle condizioni è davvero complicato”, precisa Liuzzi. Per il quale, comunque, va sempre ricordato che l’obesità non è una condizione univoca, ma una condizione che può nascondere cause molto diverse (psichiatriche, metaboliche, genetiche), da affrontare in modo pesonalizzato e per la quale è difficile pensare a semplici interventi risolutivi.

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Valentina Murelli
Giornalista scientifica, science writer, editor freelance