CRONACA

L’economia del tallone

Camminare (ma non correre) sul tallone fa risparmiare un sacco di energia, e anche se questo non spiega l’origine evolutiva di questa postura, dimostra perché l’essere umano è un ottimo camminatore

NOTIZIE – Un’altra ricerca sul modo in cui l’essere umano si sposta sulle due uniche zampe che possiede. Questo tipo di lavori non sono importanti solo perché possono aiutarci a comprendere come evitare fastidiosi disturbi come tendiniti o dolori articolari, ma anche perché servono a scandire le tappe evolutive che hanno determinao il passaggio da quadrupedi (o quasi quadrupedi) a bipedi, passaggio che secondo molti scienziati è stato (insieme alla comparsa del pollice opponibile) fondamentale per rendere l’essere umano quello che è oggi. Questa volta un gruppo di scienziati dell’Università dello Utah ha cercato di capire perché quando camminiamo tendiamo a mettere per primo giù il tallone e poi il resto del piede.

Sono infatti pochi gli animali che come l’essere umano quando camminano atterrano prima sul tallone: orsi e altre grandi scimmie come i gorilla, gli scimpanzé e gli oranghi. Altre specie preferiscono camminare sull’avampiede (cani e gatti) o addirittura sulle punte (cavalli, cervi e tutti gli ungulati).

“Il nostro studio dimostra che atterrare sul tallone è energeticamente economico quando camminiamo ma non quando corriamo,” ha spiegato David Carrier, uno degli autori della ricerca pubblicata lo scorso venerdì sul Journal of Experimental Biology, che ha collaborato anche con ricercatori dell’Università di Jena, in Germania. Gli scienziati sottolineano però che lo scatto evolutivo (cioè quello di camminare sui talloni) non è avvenuto per una pressione selettiva verso una camminata più efficiente. “Avevamo già questa postura quando noi (i nostri antenati) vivevamo ancora sugli alberi. Questo modo di camminare è già presente nelle grandi scimmie, che però non camminano per lunghe distanze.” Per questo motivo Carrier sottolinea che camminare sui talloni non è una caratteristica che si è evoluta con la funzione di ottimizzare energeticamente la camminata, anche se funziona bene allo scopo. Un’ipotesi è che questa postura si sia inizialmente dimostrata efficace per avere una stabilità maggiore, soprattutto durante i combattimenti, e che successivamente questo carattere si sia mantenuto anche grazie alla sua utilità energetica.

Gli scienziati hanno osservato 27 volontari (in gran parte atleti dai 20 ai 40 anni) mentre camminavano in tre modi diversi (sul tallone, sull’avampiede o sulle punte) su un tapis roulant. I ricercatori hanno registrato il consumo di ossigeno e la forza esercitata sulla superficie del tappeto e hanno trovato che camminare sull’avampiede è energeticamente più dispendioso del 53% rispetto a camminare sul tallone, mentre sulle punte si arriva a usare fino all’83% di energia in più.

I risultati del team di Carrier sono parzialmente collegati (e in accordo) con uno studio recente che dimostrava che correre sulle punte è più sano che sui talloni (correre sulle punte diminuirebbe lo stress su articolazioni e tendini).  “Gli esseri umani sono ottimi corridori sulle lunghe distanze. Siamo fisiologicamente e anatomicamente adattati a correre in maniera efficiente,” spiega Carrier. Ma nonostante le gambe lunghe e i glutei potenti, “l’anatomia del piede non è consistente con un modo efficiente di correre. Pensiamo a tutti i migliori corridori nel regno animale – gazzelle, cervi, cavalli, cani – corrono tutti sull’avampiede o sulle punte”

“Moltissimi atleti di grande calibro quando corrono non atterrano sul tallone. Molti usano l’avampiede o la punta,” proprio come fanno le persone che normalmente corrono scalze. Questo sembra essere la condizione naturale e ancestrale per la corsa umana. “Quel che conta è che siamo camminatori molto efficienti, ma non siamo altrettanto efficienti come corridori. Consumiamo più energia in questa attività degli altri mammiferi della nostra taglia. Ma nel camminare siamo praticamente imbattibili.”

Condividi su
Federica Sgorbissa
Federica Sgorbissa è laureata in Psicologia con un dottorato in percezione visiva ottenuto all'Università di Trieste. Dopo l'università, ha ottenuto il Master in comunicazione della scienza della SISSA di Trieste. Da qui varie esperienze lavorative, fra le quali addetta all'ufficio comunicazione del science centre Immaginario Scientifico di Trieste e oggi nell'area comunicazione di SISSA Medialab. Come giornalista free lance collabora con alcune testate come Le Scienze e Mente & Cervello.