CRONACA

Placebo? Sì grazie

L’effetto placebo è reale, ma c’è chi si chiede quanto sia etico sfruttarlo

NOTIZIE – Quando si nomina l’effetto placebo viene in mente una sorta di inganno. Si parla di placebo infatti quando somministrando una pastiglia di zucchero – facendo però credere che sia una medicina – a un paziente in alcuni casi si ottiene un, almeno parziale, effetto terapeutico. Medici e psicologi conoscono questo fenomeno da diverso tempo, ma solo negli ultimi due decenni hanno iniziato a studiarne l’origine, scoprendo l’esistenza di un complesso meccanismo neurobiologico. Qualche giorno fa su The Lancet una rassegna ha fatto emergere alcune interessanti considerazioni. Damien Finniss dell’Università di Sydney ha messo in evidenza che esistono diversi tipi di effetto placebo, che vanno dall’ambito squisitamente psicologogico fino a quello neurobiologico, dimostrando anche l’esistenza di un effetto “nocebo” – in cui i pazienti ai quali viene detto che potrebbero avere effetti collaterali da un trattamento riportano effettivamente dei fastidi, anche senza aver ricevuto un vero farmaco -.

Negli ultimi anni l’uso dell’effetto placebo a scopi terapeutici sembra essere una nuova frontiera in medicina. Un mese fa la rivista Psychosomatic Medicine ha per esempio pubblicato una ricerca dove grazie all’effetto placebo la dose di cortisone somministrata a pazienti affetti da psoriasi era ridotta da un quarto a metà. Con questo tipo di trattamenti però sorge un problema etico. C’è infatti da chiedersi se il giovamento prodotto dalla riduzione di medicinali dai forti effetti avversi possa bilanciare l’inganno a cui i pazienti vengono sottoposti. Anche Finnis nella sua rassegna sottolinea l’aspetto etico: anche se nessun medico si sognerebbe di mandare a casa un paziente con una semplice caramella, è vero che spesso vengono prescritti medicinali molto blandi nella speranza di provocare un effetto placebo che riduca i sintomi della malattia.

Un’osservazione che però emerge dalla rassegna di Finniss potrebbe rappresentare una parziale soluzione al problema. Secondo molti studi l’intensità dell’effetto placebo non dipende solo dalle informazioni che vengono fornite sul (presunto) farmaco ma anche del “setting” medico in cui viene somministrato. Alcune ricerche hanno infatti dimostrato che un farmaco ha un effetto molto più intenso se viene iniettato da un medico o un infermiere rispetto a quando viene somministrato in maniera inaspettata attraverso delle iniezioni programmate da un computer. “La somministrazione inaspettata rimuove il contesto psicosociale del trattamento” nota Finniss, e per ottenere lo stesso effetto si arriva a dover somministrare fino al 50% di farmaco in più.

Sono necessari ora studi che approfondiscano questo aspetto, continua Finniss, in modo da capire se controllando fattori come quello ambientale il paziente possa venire effettivamente informato sul fatto che nella terapia a cui è sottoposto è basata, almeno in parte, sul placebo.

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Federica Sgorbissa
Federica Sgorbissa è laureata in Psicologia con un dottorato in percezione visiva ottenuto all'Università di Trieste. Dopo l'università, ha ottenuto il Master in comunicazione della scienza della SISSA di Trieste. Da qui varie esperienze lavorative, fra le quali addetta all'ufficio comunicazione del science centre Immaginario Scientifico di Trieste e oggi nell'area comunicazione di SISSA Medialab. Come giornalista free lance collabora con alcune testate come Le Scienze e Mente & Cervello.