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L’inaffidabile topo ciccione

Le condizioni standard in cui sono allevati topi e ratti di laboratorio – troppo cibo e niente attività fisica – possono falsare alcuni risultati sperimentali. La denuncia, con una semplice soluzione, in un articolo su Pnas.

CRONACA – Cibo a volontà, niente esercizio fisico, nessuno stimolo ambientale: sono queste le condizioni standard di allevamento per la maggior parte dei topi e dei ratti utilizzati come modelli per la ricerca biomedica. Animali poco in forma, grassi e sedentari, che potrebbero portare i ricercatori a interpretazioni errate dei risultati di laboratorio, rendendo di fatto poco significativo il loro contributo alla ricerca. A sollevare la questione è uno studio appena pubblicato sulla rivista Pnas da un gruppo di ricercatori del National Institute on Aging americano, peraltro già autori di decine di studi condotti proprio su topi e ratti .

Il problema, in breve, è questo: topolini che possono mangiare liberamente in qualunque momento della giornata e non hanno mai occasione di fare attività fisica (banalmente, correre in una ruota), tendono a diventare obesi e a sviluppare ipertensione e resistenza all’insulina. Inoltre, hanno un maggior rischio di ammalarsi di tumori e malattie neurodegenerative, mostrano deficit cognitivi e hanno una vita media più breve di quella di topolini sani, magri e “allenati”.

Proprio per queste caratteristiche, se vengono utilizzati come controlli in test biomedici e sperimentazioni pre-cliniche rischiano di falsare i risultati. Secondo gli autori dello studio, questa potrebbe essere una delle ragioni per le quali farmaci che si erano rivelato molto efficaci quando testati sugli animali si sono poi dimostrati praticamente inutili nell’uomo. “Per esempio: sappiamo che l’angiogenesi, cioè lo sviluppo di nuovi vasi sanguigni, gioca un ruolo molto importante nella crescita di tumori in individui obesi, ma meno in individui magri”, raccontano i ricercatori. “Un farmaco contro l’angiogenesi può quindi essere efficace nei primi, ma non nei secondi. Se lo si sperimenta solo su topolini grassi, si potranno ottenere risultati molto positivi, che non valgono però per condizioni diverse”.

La stessa cosa può succedere per farmaci contro le malattie neurodegenerative. Tra l’altro, in questo tipo di studi il fatto di tenere gli animali in condizioni standard (cioè appunto con molto cibo e nessuna “distrazione” fisica) può costituire un vantaggio, perché accelera il processo di neurodegenerazione, accorciando i tempi necessari per la sperimentazione. L’esempio riportato da Pnas in questo caso riguarda lo stress ossidativo, che ovviamente peggiora la situazione. “Poiché lo stress ossidativo è maggiore nelle cellule cerebrali di animali sedentari, è ovvio che una terapia antiossidante potrà rivelarsi efficace in questi animali, ma non in individui ben in forma”.

I ricercatori arrivano anche a instillare un dubbio su una delle questioni più dibattute in ambito biomedico negli ultimi anni e cioè il vantaggio della restrizione calorica sull’allungamento della vita. Molti studi, spesso eseguiti su topi e ratti, hanno infatti suggerito che un’alimentazione a bassissimo contenuto calorico aiuti ad allungare la vita media. Ma se come controlli per questi studi sono stati utilizzati animali obesi e resistenti all’insulina il risultato perde molta della sua forza: che un individuo obeso, con disturbi cardiovascolari e abituato a mangiare tantissimo possa solo beneficiare di una diminuzione dell’apporto calorico è decisamente ovvio. Il punto è invece capire se la restrizione calorica sia vantaggiosa anche per individui “normali”, che hanno già una vita media più lunga rispetto a soggetti obesi e malati.

Di fronte a questa situazione, per i ricercatori del National Institute on Aging il da farsi è chiaro: curare di più la dieta e il programma di fitness dei topolini di laboratorio e prendere in considerazione la loro forma fisica di partenza come elemento fondamentale nella valutazione dei risultati sperimentali. C’è da scommettere, tuttavia, che il loro appello su Pnas non passerà inosservato anche a quanti si battono per la messa al bando degli esperimenti sugli animali: di fatto, offre su un piatto d’argento quella che sembra una grossa falla del sistema di sperimentazione.

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Valentina Murelli
Giornalista scientifica, science writer, editor freelance