CRONACA

La solidarietà è contagiosa

Una cascata di buone azioni (James H. Fowlera e Nicholas A. Christakisb)I comportamenti cooperativi si diffondono in modo sorprendentemente rapido da una persona all’altra fino a tre gradi di separazione. È la conclusione a cui sono arrivati due ricercatori dell’Università di San Diego e di Harvard ed è la prima prova scientifica di questo fatto.

NOTIZIE – Quindi, è vero, dipende da tutti noi: bastano pochi esempi di buoni comportamenti per innescare una cascata di cooperazione di cui molti possono beneficiare.
La ricerca è stata condottta da James Fowler, dell’Università di San Diego, e Nicholas Christakis dell’Università di Harvard attraverso un gioco in cui persone sconosciute tra di loro avevano la possibilità di aiutare gli altri. I risultati mostrano che è più probabile che chi è stato il beneficiario di una buona azione (per esempio abbia ricevuto del denaro) diventi a sua volta un benefattore in un gioco successivo. L’effetto si propaga direttamente fino a tre persone, le quali a loro volta diventano dei nuclei di propagazione; queste propagano l’effetto ad altre tre persone ognuna, raggiungendo così nove persone, che a loro volta propagano la buona azione in successive ondate. I giocatori dell’esperimento non si conoscevano tra di loro e non hanno mai giocato due volte con le stesse persone, in modo da eliminare eventuali influenze dovute alla personalità dei partecipanti e alle loro relazioni.
Sembra inoltre che l’effetto benefico persista nel tempo.
Il fatto che la generosità di una persona abbia un’influenza diretta su quanti la circondano è un fatto che possiamo sperimentare tutti personalmente. È più sorprendente invece che l’effetto di una buona azione possa avere delle ripercussioni positive anche in persone che non hanno diretto contatto con il benefattore attraverso una sorta di effetto domino.
Questo studio suggerisce anche la possibilità che la cooperazione abbia avuto un ruolo evolutivo: quelle comunità in grado di adottare dei comportamenti solidali hanno avuto maggiori possibilità di sopravvivere.
La ricerca è stata pubblicata sulla rivista Proceedings of the National Acedemy of Sciences.

Condividi su