Uncategorized

Il bersaglio della talidomide

Uno studio giapponese getta nuova luce sui meccanismi biologici responsabili della tragedia della talidomide.

CRONACA – A mezzo secolo di distanza dai fatti, la memoria collettiva su uno dei più gravi disastri farmacologici mai accaduti è ancora ben presente e basta una parola – talidomide – a suscitare disagio e indignazione. I fatti, in tutta la loro tragicità, sono assai semplici da riassumere: negli anni cinquanta il sedativo talidomide veniva facilmente prescritto alle donne incinte per i suoi efficaci effetti antinausea. Salvo poi realizzare che era anche responsabile di gravissime malformazioni del feto: diverse migliaia di bambini nacquero con malformazioni agli arti (focomelia), ad alcuni organi interni, alle orecchie, prima che il farmaco fosse ritirato dal mercato .

Eppure, per tutto questo tempo, non si è mai capito bene a che cosa siano dovuti questi effetti (teratogeni, si dice in gergo) sul feto. Solo negli ultimi anni si è cominciato a far luce sulla questione e ora un risultato importante in questo senso viene da un gruppo di ricercatori giapponesi, che hanno identificato una proteina-bersaglio alla quale il farmaco si lega, inattivandola.

La proteina in questione si chiama cereblon (CRBN); il suo ruolo nelle cellule umane non è ancora stato chiarito del tutto, ma si sa che, in embrioni di pesce zebra e di pollo (due organismi modello molto utilizzati in questo tipo di studi), è coinvolta nella crescita degli arti durante lo sviluppo embrionale. Così, una volta scoperto che si tratta della molecola a cui, in cellule umane, si lega la talidomide, i ricercatori ne hanno studiato il comportamento proprio in embrioni geneticamente modificati di pesce zebra e di pollo.

Per prima cosa hanno verificato che una carenza della proteina portava allo stesso tipo di difetti dello sviluppo presenti anche in esseri umani esposti alla talidomide. Insomma: se la CRBN è poca (come negli animali utilizzati per questi esperimenti) oppure è resa inattiva dal legame con la talidomide, l’effetto è una malformazione degli arti (o altri difetti di sviluppo). Non solo: si è anche scoperto che in animali modificati in modo da produrre una forma della proteina incapace di legarsi al farmaco, questo non provoca alcun danno collaterale.

La scoperta, riportata oggi dalla rivista Science, non è importante solo in senso retrospettivo, per chiarire i meccanismi biologici di quanto accaduto 50 anni fa.
Il fatto è che la talidomide è utilizzata ancora oggi – ovviamente sotto stretto controllo medico e con l’indicazione di assumere, in contemporanea, anche rigide precauzioni anticoncezionali – per il trattamento di alcune patologie come la lebbra e il mieloma multiplo. Capire da che cosa esattamente dipenda la sua pericolosità potrebbe aiutare i ricercatori a sviluppare nuovi derivati della molecola privi dei pesanti effetti collaterali.

Il lavoro sui meccanismi biologici alla base della pericolosità della talidomide, comunque, non finisce qui. Alcuni anni fa, infatti, un altro gruppo di ricercatori aveva scoperto che la talidomide inibisce lo sviluppo dei vasi sanguigni negli arti in formazione. Ora si tratta anche di capire se c’è un rapporto tra l’effetto su CRBN e quello sui vasi.

Condividi su
Valentina Murelli
Giornalista scientifica, science writer, editor freelance