ESTERI

Sanità all’americana

Ecco che cosa cambia davvero con la riforma voluta da Obama, perché gli Usa hanno una spesa sanitaria altissima e chi si oppone al cambiamento.

ESTERI – Una svolta storica: all’incirca così i giornali di tutto il mondo hanno definito l’approvazione da parte della Camera dei rappresentanti Usa della riforma sanitaria fortemente voluta dal presidente Barack Obama: 219 sì contro 212 no (tutti quelli repubblicani più alcuni democratici). L’approvazione, in realtà, non è ancora definitiva: la legge torna ora al Senato, insieme agli emendamenti votati, per l’ultimo ok, ma visto che non si aspettano sorprese è il momento giusto per cominciare a capire che cosa cambierà con la riforma .

Negli Stati Uniti il sistema sanitario si basa su una logica di pluralismo e di libero mercato: non esiste il concetto di servizio sanitario nazionale cosiddetto universale, gratuito (o quasi) per tutti, come quello a cui siamo abituati in Italia e in generale in Europa. L’accesso alle prestazioni sanitarie americane è invece garantito da assicurazioni (pubbliche o private) stipulate in funzione della posizione professionale o dell’età.

Più precisamente: per gli occupati (e per i loro figli), la copertura sanitaria è fornita dal datore di lavoro. Per gli anziani sopra i 65 anni l’assicurazione è pubblica tramite il programma Medicare; lo stesso vale per bambini non coperti dall’assicurazione dei genitori (programma Chip) e per gli indigenti (Medicaid); in quest’ultimo caso, tuttavia, ci sono grosse differenze da stato a stato: gli stati della costa Est (come il Massachussets) sono molto generosi, mentre quelli più a Sud, come il Texas, garantiscono solo livelli davvero minimi di assistenza.

Rimangono fuori dal sistema diverse decine di milioni di persone: liberi professionisti, giovani (ma anche adulti) disoccupati o precari, lavoratori di piccole imprese che non si fanno carico delle spese necessarie. Alcuni di loro si rivolgono individualmente ad assicurazioni private: una soluzione molto costosa e poco sicura. In queste condizioni è più facile essere vittime di pratiche di selezione dei pazienti: gli assicuratori possono decidere di non accettare come clienti persone già malate o a rischio oppure di “scaricarle” quando si ammalano, come denunciava il regista Michael Moore in un episodio del film Sicko.

“Si tratta di un vizio di fondo legato al sistema delle assicurazioni: in tutti i settori assicurativi il prezzo del servizio è correlato alla previsione dei costi. E quando la situazione appare già compromessa, l’assicurazione può decidere di non assumersi il rischio”, spiega Giovanni Fattore, docente di economia e politica sanitaria alla Bocconi di Milano e presidente dell’Associazione italiana di economia sanitaria. E’ ovvio che agli occhi di un cittadino europeo, il sistema americano appaia profondamente iniquo, ed è proprio a quelle che noi percepiamo come gravi iniquità che tenta di porre rimedio la riforma voluta dal presidente Obama

“Il meccanismo centrale del piano sanitario appena approvato è molto semplice: rendere obbligatorio praticamente per tutti il fatto di possedere un’assicurazione sanitaria”, spiega Fattore. La questione, in realtà, è molto delicata, da almeno due punti di vista. “Intanto, da quello normativo. Per la costituzione americana, infatti, l’assicurazione sanitaria è una competenza dei singoli stati e non del governo federale, per cui ci sono addirittura dubbi sulla costituzionalità di un obbligo federale di essere assicurati”. E poi, ovviamente, da un punto di vista operativo: “Se c’è un obbligo bisogna che ci siano anche le condizioni per farlo”, afferma Fattore.

A questo proposito, la riforma individua due strade principali: da un lato, sussidi per singoli cittadini, perché possano acquistarsi una copertura sanitaria (pena una multa se non lo dovessero fare). Dall’altro, finanziamento e defiscalizzazioni alle imprese e ai datori di lavoro, perché espandano il numero di impiegati con copertura assicurativa. Altri interventi previsti sono quelli rispetto a Medicaid – si punta a un’estensione del diritto di accesso al programma, che dovrebbe essere garantito a chiunque rientri in certi parametri di reddito – e rispetto alle assicurazioni: giro di vite sulla possibilità di rifiutare clienti o di fissare liberamente i premi delle proprie polizze.

“Tutto questo, ovviamente, avrà dei costi altissimi, e non a caso il piano proposto rimane abbastanza vago sulle strategie da adottare per regolamentare la spesa in modo da riuscire a fornire la copertura sanitaria a quei 30-40 milioni di persone che oggi non ce l’hanno”, commenta l’esperto della Bocconi. E’ pur vero però che alcuni margini di interventi ci sono. “Tanto per cominciare, già oggi queste persone non vengono certo abbandonate per strada a morire, ma accedono alle cure attraverso canali magari poco efficaci ma comunque molto onerosi come il Pronto soccorso. Insomma, in qualche modo, spesso tardivo e inappropriato, l’assistenza già c’è: si tratta solo di modificarla in modo più equo, ma anche più razionale per quanto riguarda le spese”.

E parlando di spesa sanitaria c’è un dato che può far riflettere. Secondo le ultime statistiche dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), la spesa sanitaria procapite degli Usa è altissima: circa due volte e mezzo quella dell’Italia, per intenderci.

“Questo fenomeno sembra dipendere da due aspetti: prezzi delle risorse sanitarie (farmaci, tecnologie, ma anche forza lavoro dei medici) molto più alti che nel resto del mondo e maggiore intensità assistenziale. Significa che, a parità di condizione, un paziente americano riceve molta più assistenza di un paziente europeo, anche se questo non significa necessariamente che la qualità è superiore.”, afferma Fattore. Intervenire su questa spesa così disallineata rispetto alla media europea, però, è tutt’altro che facile. Anzi, è probabilmente proprio qui che si gioca tutto lo scontro sulla riforma sanitaria. “Contenere la spesa attuale si può, ma ovviamente la previsione di un contenimento dei prezzi dei farmaci e delle tecnologie piuttosto che delle retribuzioni o dei margini delle assicurazioni fa paura a molti”.

E a spaventarsi non sono solo le lobby: la maggior parte dei cittadini americani già oggi ha una copertura sanitaria che giudica di ottima qualità e molti temono che la riforma porti a una diminuzione delle loro garanzie. Non la pensa così, ovviamente, Michael Moore, che in una lettera aperta pubblicata oggi sul suo sito invita tutti i repubblicani d’America a essere contenti, nel giorno dell’approvazione della riforma, per il loro paese.

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Valentina Murelli
Giornalista scientifica, science writer, editor freelance