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Medici tra fiction e realtà

Cosa succede se un dottore si mette a guardare fiction tipo “Dr House” o Grey’s Anatomy”? Alcuni medici (veri) hanno provato a darsi una risposta.

Una suora che presenta convulsioni da shock anafilattico ma che rifiuta di collaborare con il personale medico per motivi religiosi, un dottore che si trova a forzare un trial clinico per curare una collega, o un primario che non sa se scavalcare o meno il direttore per sperimentare un nuovo trattamento. Sono solo alcuni dei casi trattati da serie televisive ambientate negli ospedali, casi che sono spesso verosimili, e che comunque possono stimolare i medici veri a ragionare sul proprio lavoro. È ciò che ha pensato Matthew Czarny, un ricercatore del Berman Institute of Bioethics della Johns Hopkins University, che, coadiuvato da diversi direttori di facoltà, ha elaborato uno studio pubblicato sull’ultimo numero del Journal of Medical Ethics riguardante, appunto, le serie tv.

Sono state analizzate, in particolare, le seconde stagioni di “Grey’s Anatomy” e Dr House”, esaminando i numerosi dilemmi etici che i protagonisti devono affrontare, che a volte contrastano con la deontologia professionale.

Al di là della correttezza scientifica, Czarny e colleghi hanno voluto mettere in luce come vengono rappresentate in video le decisioni prese dai medici, rappresentazioni che spesso costituiscono una parte importante della percezione pubblica della professione. Queste due serie, in particolare, giunte ormai alla sesta stagione, hanno molto successo sia negli Stati Uniti che in Italia, anche tra il personale medico: una prima analisi, infatti, ha rilevato che più dell’80% degli studenti di medicina e di infermieristica le guardano. Un fatto che, secondo gli autori dello studio, può stimolare gli studenti a riflettere e a dialogare su questioni bioetiche.

Nelle puntate analizzate, su 179 temi etici descritti, sono stati rilevati undici argomenti differenti, che vanno dal trapianto d’organi, alla sperimentazione umana, passando per il consenso informato. È proprio quest’ultimo il tema maggiormente trattato: su quarantanove casi, il 43% dei dialoghi tra medico e paziente sono stati giudicati “esemplari” (il medico partecipa a una discussione bilanciata con il paziente esponendo tutte le possibili opzioni di trattamento), mentre per il restante 57% le comunicazioni erano frettolose e unilaterali, senza una completa esposizione dei rischi procedurali.

Ventidue i casi con “deviazioni eticamente discutibili dalle pratiche standard, molte delle quali con dottori che mettono a rischio i pazienti senza una reale necessità, inseguendo interessi personali.” In quasi tutti questi casi (18 su 22) “i medici implicati non sono poi stati penalizzati”, notano gli autori.

La maggior parte del mancato rispetto della deontologia professionale è stato collegato alla condotta sessuale, con 58 casi in “Grey’s Anatomy” e 11 in “Dr. House”, e su 178 interazioni tra colleghi, solo nove sono state giudicate corrette.

In realtà gli autori dell’analisi riconoscono il proposito di intrattenimento delle serie televisive, e non le considerano certamente uno strumento educativo nella pratica medica. Piuttosto, il loro intento è stato quello di evidenziare come alcuni casi descritti nelle fiction potrebbero rappresentare un utile spunto per gli studenti di medicina e farmacia per discutere di etica e deontologia.

“Credo che serie come «Dr House», ma anche «Scrubs» siano utili anche in Italia per un dibattito, ma se qualcuno aiuta a “leggerle”, perché il mondo medico segue ormai troppo e tristemente la routine, accettando aprioristicamente un’etica in cui «è giusto quello che è legale», con conseguente poca riflessione e criticità”, commenta Carlo Bellieni, dirigente del Dipartimento di Terapia intensiva neonatale del Policlinico Universitario Le Scotte di Siena, e co-autore del libro intitolato “House MD: follia e fascino di un cult movie”, per Cantagalli Editore.

“Non dimentichiamo però che queste fiction sono ambientate negli Stati Uniti”, precisa Stefano Martinoli, dirigente medico presso l’Unità Clinica Operativa di Chirurgia dell’Università di Trieste e Cultore di Bioetica. “In Italia il sistema è radicalmente diverso; lì è molto esasperata la fase diagnostica a causa del rapporto costi-benefici: prima di effettuare costose analisi ci si pensa più volte. Da noi forse il problema è l’esatto contrario, spesso si fanno troppi test e si parla poco con il paziente”, aggiunge. Sempre secondo Martinoli, comunque, il pregio di queste serie è soprattutto quello di mettere in discussione il rigore scientifico, facendo scendere dal piedistallo il medico. “Temo però che in Italia manchi l’ABC interpretativo per aprire gli specializzandi ad un percorso etico attraverso i serial medici televisivi”, sostiene Carlo Bellieni. “Ad esempio, la serie del dottor House è chiaramente critica verso gli stupefacenti, ma lo fa attraverso un personaggio che li assume. Così come invita a un’apertura totale verso la persona del paziente, ma lo fa sempre attraverso Gregory House, un medico che sostiene di non volerli incontrare”, conclude, aggiungendo che in genere, però, l’interesse si limita all’intrattenimento, piuttosto che scatenare una vera riflessione etica.

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