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SWITCH – l’acqua nella città

Ascolta l’intervista integrale di OggiScienza a Carol Howe

Il progetto SWITCH: prove tecniche di gestione idrica urbana in un mondo sempre più globalizzato. Intervista Carol Howe, project manager di SWITCH

NOTIZIE – Pochi giorni fa, il 22 marzo, si è celebrata la Giornata mondiale per l’acqua, istituita nel 1992 dalle Nazioni Unite. Negli ultimi decenni in tutto il mondo, nostro paese compreso, continuano a crescere le preoccupazioni sulla disponibilità di acqua, soprattutto quella potabile e per l’agricoltura. Il problema è grave soprattutto nei grandi agglomerati urbani i cui sistemi di gestione sono ormai obsoleti, inefficienti, insufficienti e assolutamente non sostenibili dal punto di vista ambientale. L’impossibilità di accedere all’acqua potabile in alcune zone del mondo provoca vere e proprie emergenze, anche dal punto di vista sanitario. SWITCH è un programma di ricerca-azione cofinanziato dall’Unione Europea che vede collaborare 33 partner da 15 nazioni in tutto il mondo. Lo scopo di SWITCH è quello di stimolare un cambio di paradigma nella gestione delle acque urbane, verso un approccio più integrato e attento alla sostenibilità. Accra, Alessandria, Pechino, Belo Horizonte, Birmingham, Chongqing, Amburgo, Lodz, Tel Aviv, Saragozza Lim a e la regione di Emscher in Germania sono le città scelte dal progetto. Abbiamo raggiunto Carol Howe, project manager di SWITCH, che ci ha raccontato gli obiettivi raggiunti nei 5 anni di attività del programma.

OS: Carol Howe, che cosa si intende per approccio integrato nell’ambito del progetto SWITCH?

CH: Con la parola “integrato” principalmente intendiamo guardare all’acqua urbana nel suo complesso, non distinguendo fra la gestione dell’acqua potabile, quella per scopi sanitari e le fognature. Cerchiamo di pensare a come l’acqua interagisce nelle città, e come possiamo conservarla, riciclarla meglio e anche a come utilizzarla per rendere le città più gradevoli da un punto di vista estetico.

OS: Quale criterio avete usato nella scelta delle città coinvolte nel progetto? Sono tutte così differenti…

CH: Questo era il motivo per cui sono state scelte. Nel complesso queste città mostrano la varietà sia delle stutture governative e istituzionali che esistono nel mondo, dei diversi tipi di condizioni climatiche – umide, aride -, e delle variazioni stagionali. Sono anche state scelte sia in paesi sviluppati che in via di sviluppo. Per cui abbiamo città con infrastrutture già esistenti, che possiamo considerare ricche, e nei paesi in via di sviluppo abbiamo invece una grande varietà di situazioni, la gran parte delle volte con grandi problemi sanitari e di approvigionamento dell’acqua.

OS: Quali sono gli attori dei quali il progetto SWITCH vuole stimolare la collaborazione?

CH: Abbiamo creato quelle che chiamiamo Learning alliance. Questo è fondamentale per il progetto perché pensiamo che bisogni stimolare le persone a comunicare, interagire, scambiare idee per trovare soluzioni comuni. In ogni città abbiamo fatto in modo di far incontrare i rappresentanti delle amministrazioni locali, quelli dei servizi pubblici, in alcuni casi anche quelli dell’energia, i rappresentanti di varie ONG e gli scienziati provenienti da diverse discipline.

OS: Cosa fa il progetto SWITCH, nel pratico, in tutte queste città?

CH: Ogni città segue il suo proprio percorso ma ci sono alcune cose in comune. In gran parte delle città stiamo facendo un piano strategico, cercando insieme alle learning alliance di stabilire una “visione” futura per la città:  dove vogliono andare con la gestione idrica, come misureranno il succeso o l’insuccesso, stabilendo dei criteri, e cosa vogliono fare per raggiungerli – in una città l’obiettivo potrebbe essere di costruire delle cisterne di raccolta dell’acqua piovana per l’approvigionamento idrico, in un’altra l’acqua potrebbe venire riciclata, in un’altra ancora si potrebbe decidere di sfruttare una zona umida naturale… Stiamo anche facendo molte dimostrazioni sul campo. Ogni dimostrazione è diversa a seconda della città. A Birmingham stiamo costruendo “tetti verdi”, ad Accra stiamo utilizzando il riciclo dell’urina che viene usata come fertilizzante. Crediamo che queste dimostrazioni siano molto importanti perché la gente così può capire, vedere e abituarsi ai cambiamenti che ci dovranno essere per avere una sostenibilità maggiore.

OS: Quali sono secondo lei, fino a questo momento, i risultati più importanti del progetto?

Ce ne sono tantissimi, potrei andare avanti all’infinito. Credo però di avere i miei preferiti. Trovo molto interessanti alcune dimostrazioni fatte a Lima, in Perù. A Lima virtualmente non piove mai, è una città molto arida e polverosa. Una delle comunità locali, una comunità molto povera che vive in una zona di baracche,  ha fatto in modo di utilizzare l’acqua riciclata dagli scarichi urbani. La gente di questo posto si è riunita e abbiamo lavorato con loro. La comunità ha rimesso a posto un’area molto degradata. Li abbiamo aiutati a portare l’acqua riciclata in zona, e loro hanno terrazzato la collina sovrastante. Ora la comunità locale delle donne sta irrigando e coltivando piante decorative per poi venderle al governo che le utilizza a sua volta per abbellire la città. È come completare un ciclo: tutto ciò ha dato un’entrata economica alla comunità, ha reso più bella l’area e anche la città e serve a ripulire l’acqua che viene riutilizzata.


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Federica Sgorbissa
Federica Sgorbissa è laureata in Psicologia con un dottorato in percezione visiva ottenuto all'Università di Trieste. Dopo l'università, ha ottenuto il Master in comunicazione della scienza della SISSA di Trieste. Da qui varie esperienze lavorative, fra le quali addetta all'ufficio comunicazione del science centre Immaginario Scientifico di Trieste e oggi nell'area comunicazione di SISSA Medialab. Come giornalista free lance collabora con alcune testate come Le Scienze e Mente & Cervello.