CRONACA

Le nuove frontiere dell’imaging quantistico

Simulazione di shot-noise (http://en.wikipedia.org/wiki/File:Photon-noise.jpg)

Vedere oggetti così deboli da essere invisibili: è una delle possibilità aperte da una tecnica che sfrutta le proprietà quantistiche della luce e per la prima volta realizzate sperimentalmente da un gruppo di ricercatori dell’INRIM di Torino.

NOTIZIE – È un campo di ricerca assolutamente nuovo. Si chiama imaging quantistico, ed è un settore dell’ottica quantistica che cerca di sfruttare le proprietà quantistiche della luce per ottenere immagini con risoluzione o sensibilità ben al di là di quelle permesse dall’ottica classica. Utilizzando le correlazioni quantistiche tra coppie di fotoni gemelli è possibile, per esempio, osservare oggetti di cui si era persa completamente l’informazione spaziale dell’immagine diretta: si chiama ghost imaging per evocare il fatto che con questa tecnica le immagini emergono come delle specie di fantasmi. Anche la litografia quantistica — un processo di microfabbricazione che procede per rimozione di piccole parti o strati sottilissimi di materiale — a differenza della litografia tradizionale può raggiungere risoluzioni massime senza dover ridurre conseguentemente la lunghezza d’onda. E, ancora, i sensori quantistici, o la metrologia quantistica per misurare parametri fisici con precisioni irraggiungibili con i metodi classici.

Una delle applicazioni più interessanti dell’imaging quantistico è la possibilità di ottenere l’immagine di oggetti a bassissimo assorbimento, anche se illuminati molto debolmente. Si tratta di immagini cosiddette sub-shot noise, cioè immagini sotto la soglia del shot noise, il disturbo che viene creato come conseguenza del fatto che la luce e la corrente elettrica viaggiano a pacchetti: quando il segnale luminoso è molto debole, diciamo per esempio una media di 5 fotoni al secondo, in un certo momento si misureranno 2 fotoni in un altro 10 fotoni… queste fluttuazioni si chiamano shot-noise. Questo disturbo rappresenta, per esempio, il limite ultimo nella possibilità di fotografare oggetti con scarso illuminamento per mezzo di una telecamera digitale. È importante notare che, secondo le leggi della fisica classica, in cui la luce è vista come un’onda elettromagnetica, sarebbe in ogni caso impossibile eliminare questo rumore, anche teoricamente. Solo la meccanica quantistica prevede l’esistenza di fenomeni nuovi, e di stati della luce così speciali da superare queste barriere.

I ricercatori Giorgio Brida, Marco Genovese, Ivano Ruo Berchera dell’Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica (INRIM) di Torino hanno realizzato per la prima volta un apparato sperimentale in grado di raggiungere un rapporto tra segnale e rumore superiore a quello ottenibile con i metodi dell’imaging classico. “Nell’esperimento, i fasci gemelli sono stati prodotti con il fenomeno di ottica quantistica chiamato fluorescenza parametrica, — ci racconta Ivano Ruo Berchera, uno dei protagonsiti della ricerca. — Un cristallo non-lineare viene iniettato con un laser sufficientemente energetico e alcuni fotoni del laser si dividono in coppie di fotoni che sono correlati, perché originati dallo stesso fotone del laser. I fasci gemelli sono formati dal flusso di questi fotoni correlati. L’oggetto di prova utilizzato è una deposizione molto tenue su un vetrino a forma di π, illuminato da uno dei fasci gemelli, mentre l’altro fascio uscente dal cristallo è stato mandato direttamente sulla telecamera senza interagire con l’oggetto, facendo da riferimento per il rumore. L’immagine della π non era visibile direttamente, in quanto persa nelle inevitabili fluttuazioni (il rumore shot) della luce. Tuttavia essa riappariva quando il rumore del fascio di riferimento correlato veniva sottratto.”

È un punto di partenza per una nuova tecnologia che potrà avere applicazioni nei campi in cui si debba lavorare in condizioni di bassissima illuminazione, come per esempio con campioni biologici o comunque sensibili alla luce. Gli autori hanno dimostrato che i fasci di luce gemelli prodotti con la fluorescenza parametrica permettono di vedere con una telecamera un oggetto estremamente tenue, la cui immagine si perderebbe se osservato con luce tradizionale.

“La nuova sfida per i ricercatori ora è aumentare la risoluzione spaziale della tecnica e migliorare ancora (fino a tre volte) il rapporto segnale rumore, in modo che sia possibile l’applicazione sul campo. Inoltre le stesse tecniche utilizzate possono dare origine a nuove inaspettate applicazioni. Per esempio la determinazione dell’efficienza quantica dei rivelatori di luce, indispensabile nella scienza delle misure,” conclude Ivano Ruo Berchera.

La ricerca è stata pubblicata su Nature Photonics (4, 227 – 230 aprile 2010) e ha avuto anche l’onore della copertina, mentre qualcosa in più sull’imaging quantistico si trova qui.

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