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La vita sintetica ‘made in Italy’

Dopo l’annuncio di Craig Venter, facciamo un salto all’Università di Roma Tre dove un gruppo di ricercatori sta studiando come creare forme di vita assemblando materia inanimata: cellule “minime”. Sulle tracce di ciò che è avvenuto 3,5 miliardi di anni fa. Ci sono quasi riusciti.

INTERVISTE – Prendi una sferetta di acidi grassi. Riempila di molecole semplici: un po’ di ammino acidi, qualche proteina, e una manciata di geni. Aggiungi acqua. Frulla e aspetta. Magari dall’impasto spunta fuori la vita. Non è esattamente questo lo schema, nessuno sa (ancora) quale sia la formula del processo chiamato “auto-organizzazione”. Ma potremmo esserci vicini, dicono gli scienziati.

Sappiamo che una volta è successo: circa 3,5 miliardi di anni fa, la materia inorganica sul nostro pianeta, nient’altro che polvere di stelle, si è organizzata in modo tale da innescare reazioni chimiche che hanno portato, alla fine, a una forma cellulare vivente. Era il primo microrganismo, nato nel brodo primordiale, unico essere sulla faccia della Terra in grado di replicare se stesso. È lì che si è innescata quella lunghissima catena di eventi che – Darwin c’insegna – ci ha portati qui. In alcuni laboratori del mondo all’avanguardia si sta cercando di risalire alla ricetta segreta della vita e ripetere l’esperimento del quale siamo figli .

Anche l’Italia è in pole position verso la vita sintetica. Che è cosa diversa, e più ambiziosa, rispetto al traguardo pure eccezionale raggiunto da Craig Venter. Il quale ha riprogrammato la vita di un batterio. Non l’ha creata da zero. È questo, invece, quanto stanno provando a fare i ricercatori del laboratorio di biologia sintetica del Dipartimento di biologia dell’Università di Roma Tre, guidati dal professor Pier Luigi Luisi. Ne parliamo con Pasquale Stano, ricercatore dell’equipe di Luisi che collabora al progetto SynthCells finanziato dalla Comunità Europea (nella foto, cellule artificiali; crediti: Paolo Carrara, Uniroma3).

Che cosa state facendo?
Stiamo cercando di assemblare la materia inerte e costruire, a partire da ingredienti chimici di base, un modello biologico: cellule ‘minime’ contenenti le istruzioni essenziali e indispensabili per la vita.
Cosa intende per ‘vita’?
Tecnicamente parlando, è la capacità di un sistema di costruire i propri componenti e riprodursi. Sono i requisiti minimi, il punto di partenza delle cellule primordiali che sono comparse sulla Terra.
A che punto siete nella sperimentazione?
A metà strada. Siamo riusciti ad assemblare un involucro lipidico contenente un programma genetico minimale. Queste cellule sintetiche riesce ad esprimere alcune proteine da sé. Svolgono alcune funzioni semplici anche se non si replicano ancora. Ma ci siamo vicini.
Com’è fatto una cellula minima?
Oggi persino il batterio più elementare ha una perfezione e una complessità incredibili. Migliaia di reazioni biochimiche permettono a una microscopica struttura di provvedere alle proprie esigenze di auto-mantenimento, controllo del metabolismo e auto-riproduzione. Ma è plausibile pensare che all’origine le cellule primitive fossero notevolmente più semplici, come le cellule che stiamo ricreando.
Qual è il numero minimo di geni per la vita?
Il “set di base” del DNA è composto di circa 200 geni essenziali, che garantiscono lo stretto necessario per il mantenimento delle funzioni cellulari. Ma le cellule primitive non avevano le funzioni delle cellule moderne. Crediamo ne bastino molti meno, e così verrà prodotta una cellula estremamente semplice, anche se poco efficiente.
Qual è lo scopo di queste ricerche?
Le cellule minime rappresentano i primi passi che ha mosso la vita sulla Terra. Inciampando, zoppicando, ripartendo ogni volta, sono arrivate lontano. Studiare i primi tentativi della vita di stare al mondo ci può aiutare a capire il percorso della vita terrestre per come oggi la conosciamo. Ma anche dimostrare se effettivamente è possibile creare in laboratorio cellule viventi a partire da molecole non viventi.
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