AMBIENTE

Tabula rasa

INCHIESTA- C’era una volta a Ferrara, nella frazione di Sant’Egidio, l’Oasi del Poggetto.

Un pezzo di campagna universalmente definito come “Oasi” appunto per il suo indubbio valore naturalistico e che prendeva il nome dal vicino Santuario della Beata Vergine del Poggetto, risalente al XII secolo. L’area comprendeva maceri (un tempo utilizzati per la canapa), bacini palustri, siepi, boschi e boschetti con imponenti alberi secolari. Uno di questi maceri era poi particolarmente rilevante, trattandosi di una struttura naturale detta “gorgo” e compariva, assieme a un boschetto, già nelle mappe del 1814.

Un territorio quindi strutturalmente eterogeneo, perfetto per ospitare fauna e flora tipica del territorio. Era una tenuta privata, ma rientrando tra le aree sotto la gestione di un’azienda faunistico venatoria, era adeguatamente controllata e mantenuta.

Oggi, quel patrimonio naturalistico a pochi chilometri da Ferrara (città Patrimonio Mondiale dell’Umanità) non esiste più: tabula rasa, nel vero senso della parola.

Grazie ai rilievi coi teodoliti laser, l’intera area è stata letteralmente e accuratamente spianata. La vegetazione intorno ai maceri è scomparsa, gli alberi ridotti a cippato o, nel caso di quelli più imponenti, rivenduti come legname. Per buona misura, dove dai ceppi rimasti già cominciava a spuntare qualche fastidioso getto, si è usato il fuoco per fare letteralmente, terra bruciata.

Pur trattandosi, come già detto, di un terreno privato e al catasto risulti come terreno agricolo, il danno ambientale c’è e è assolutamente fuori discussione.

 

Tutto è iniziato nella primavera del 2009 quando, dopo la morte del precedente proprietario, la tenuta di circa 200 ettari dove si estendeva l’Oasi  è stata venduta alla Società Agricola La Pomposa di Mario e Giovanni Visentini, che ha poco dopo cominciato i lavori nel proposito di adibire l’area a frutteto. L’azienda appare anche nell’elenco dei “produttori biologici” della Provincia di Ferrara.

Da allora un gruppo in particolare di cittadini in particolare  si è attivato per cercare di vederci chiaro sulla faccenda.

È da far notare che queste persone, che Oggiscienza ha incontrato, sono dei cittadini ferraresi che non hanno alcuna affiliazione in comune, e che sono entrati in contatto fra loro per semplice passaparola dopo aver cominciato a interessarsi autonomamente.

Luigi Gasparini fa parte di ISDE, Medici per l’ambiente e si definisce e si firma “Medico igienista preoccupato per la Salute Pubblica”; Barbara Faccini è ricercatrice in Geologia al Dipartimento di Scienze della Terra di Ferrara e abita a ridosso di quella che era l’Oasi; Giampaolo Balboni è invece presidente del WWF di Ferrara.

Da loro sono partite le prime segnalazioni agli organi competenti per i danni ambientali che si andavano susseguendo. Grazie a loro esiste anche la documentazione fotografica dei fatti di cui qui c’è solo un saggio.

Quanto emerge dalla documentazione da loro raccolta è semplicemente surreale. In primo luogo, parlando di patrimonio naturalistico, si è pienamente giustificati:  quale che sia l’opinione del catasto, il Museo di Storia Naturale di Ferrara ha effettuato un sopralluogo nella zona (i lavori purtroppo erano già iniziati), e redatto un resoconto poi inviato all’amministrazione.

Si riportano qui di seguito pochi stralci del paragrafo “Conclusioni” con alcuni passaggi evidenziati in neretto. L’intero documento è scaricabile qui.

Oggetto: ex-tenuta Ferraguti, Via dell’Idrovoro, S. Egidio, Ferrara (FE). Informazioni naturalistiche in possesso dello scrivente Museo (P.G. 106906/o9)

In sintesi, nei maceri e negli altri biotopi della zona erano sicuramente presenti specie animali protette, in particolare ai sensi delle Direttive europee Ucelli (specie dell’allegato 1) e Habitat, queste ultime recepite dalla L.R. 15/2006 “Disposizioni per la tutela della fauna minore in Emilia Romagna” e da altre normative internazionali recepite a livello nazionale. […] Il biotopo acquatico S127B era stato incluso come “Nodo ecologico ad ecosistema prevalentemente acquatico” nel progetto di rete ecologica comunale approvato con il PSC (Piano Strutturale Comunale n.d.r.) il 16/04/2009 ed entrato in vigore il 03/06/2009, come pure i due biotopi terrestri S167B e S167B2 erano inclusi come “aree di appoggio ad ecosistema terrestre” nello stesso progetto di rete, (http://www.comune.fe.it/prg/psc/approvazione/5_2_rete_ecologica_verde.pdf) In tale progetto, tutti i maceri figurano come “aree di appoggio d’ecosistema acquatico”. [..] Sicuramente, gli interventi hanno provocato una notevole perdita di biodiversità anche protetta dalle normative. In pratica, è stato distrutto un insieme di ecosistemi che complessivamente formavano un importante e articolato nodo di biodiversità […]

Inoltre, le operazioni di svuotamento dei bacini ed eliminazione della vegetazione erano in corso alla data del 14 aprile 2009 e quindi si sono svolte durante il periodo riproduttivo della fauna.

Tra le tante specie elencate (impossibile qui riportarle tutte) oltre a biancospino, olmo, acero campestre, rosa canina, sanguinella, prugnolo, rovo, ortica, pioppo nero, compare (tra i numerosi anfibi) il Rospo smeraldino (Bufo viridis, protetto dalla convenzione di Berna) e il Cerambice della quercia (Cerambix cerdo, specie minacciata secondo lo IUCN). La vegetazione e i bacini offrivano anche riparo a molti uccelli, tra cui il Gheppio (Falcus tinnunculus), la Nitticora (una specie di airone, Nycticorax nycticorax) e l’Airone cinerino (Ardea cinerea). Rilevante era anche la presenza si mammiferi: ricci, donnole, volpi, topi ecc…

 

Come detto in precedenza, erano presenti all’Oasi anche alberi di grossa taglia, alcuni secolari, il cui abbattimento dovrebbe aver luogo previa autorizzazione, che non è stata richiesta. Accertata la violazione da parte del Corpo Forestale dello Stato e in base al Regolamento Comunale del verde pubblico e privato (art.8 comma 2), è stata emessa una multa e un’ordinanza di ripristino dei luoghi (art. 23), per l’abbattimento non autorizzato di 26 alberi. L’azienda, come era suo diritto del resto, ha aperto un contenzioso, ma è interessante andare a vedere una delle motivazioni per le quali, secondo La Pomposa, l’ordinanza dovrebbe essere annullata. Facendo riferimento all’anagrafe delle aziende agricole, si legge negli scritti difensivi inviati per conto della Società:

[…] l’unico obbligo segnalato è quello riportato dall’art. 19 del PTPR (Piano Territoriale Paesistico Regionale n.d.r.), il quale però non pone vincoli sull’abbattimento di alberi, prevede invece che in tali zone possano essere eseguiti lavori di svariato tipo per la valorizzazione del territorio.

Nel caso di specie la valorizzazione ambientale consisterebbe nella costruzione di un impianto ortofrutticolo.

L’area, sotto il precedente proprietario, aveva beneficiato (stando a quanto riportato nei documento redatto dai Forestali (prot. 1334) dei finanziamenti della Comunità Europea per il cosiddetto set-aside. Il set-aside era una misura, ora abolita, per il quale i proprietari di terreni agricoli potevano avere accesso a un finanziamento dove venisse sottratto terreno alla coltivazione per essere lasciato a riposo. La misura voleva da una parte ridurre un surplus di produzione alimentare, e dall’altra valorizzare il territorio dal punto di vista sia ambientale che agricolo, dal momento che una campagna eterogenea, ricca di siepi e incolti, di fatto si traduce non solo in un aumento di biodiversità ma, in relazione a questa, anche in risanamento degli ecosistemi agricoli. In particolare, secondo il rapporto dei forestali, i finanziamenti erano stati erogati in base al regolamento 2078/92 che promuoveva (finalità c)

forme di conduzione dei terreni agricoli compatibili con la tutela e con il miglioramento dell’ambiente, dello spazio naturale, del paesaggio, delle risorse naturali, del suolo, nonché della diversità genetica

Grazie a quei finanziamenti erano stati eseguiti rimboschimenti e allagamenti controllati che avevano trasformato la zona, già di per sé assai eterogenea per la presenza dei maceri, delle siepi e dei boschetti già citati, ancor più interessante dal punto di vista dei biotopi presenti, peraltro tra loro intrecciati, vista la relativa vicinanza dei maceri.

L’obbligo per il proprietario di agire in ottemperanza al set aside non è, ovviamente, permanente, e i termini in questo caso risultano decaduti, stando a quanto finora affermato. Non si può però non notare che tra riconvertire un terreno agricolo a riposo in uno produttivo, e spazzare via, letteralmente, ogni biotopo presente, compresi quelli risalenti al secolo scorso, potrebbero esistere varie vie di mezzo.

 

A livello locale, lo sconcerto per lo scempio ecologico dell’Oasi è stato molto pronunciato, e ci sono state alcune lettere pubblicate sui giornali, dove principalmente si chiedeva alle amministrazioni di fare semplicemente un po’ di chiarezza sulla vicenda. Quale che sia l’aspetto legale del tutto, è un fatto che un piccolo paradiso naturale, prima a disposizione degli abitanti, è stato estirpato da un giorno all’altro.

Invece, carte alla mano, persino le esplicite richieste degli atti effettuate da privati cittadini in base al Decreto legislativo 195/05 (recepimento di una direttiva CEE che garantisce ai cittadini l’accesso alle informazioni in possesso delle autorità pubbliche in materia di ambiente) sono state rifiutate prima dal Corpo Forestale, poi dalla Provincia. Perfino una richiesta inoltrata dal WWF Emilia-Romagna non è stata soddisfatta.

Il 10 novembre 2009, nel cercare di fare breccia almeno nei mezzi di informazione, è stata organizzata una conferenza stampa, estendendo l’invito a tutte le istituzione pubbliche coinvolte.

Nonostante nessuna di queste si sia presentata, i giornalisti locali hanno dato almeno un effimero risalto alla vicenda, e il Comune pochi giorni dopo ha fatto sapere che si sarebbe fatto in modo che gli alberi abbattuti fossero adeguatamente rimpiazzati.

Surreale è anche la risposta dell’Ufficio Stampa della Provincia a un lettore che esprimeva la sua costernazione sulle pagine de Il Resto del Carlino (data 16 novembre 2009) dove, nel reindirizzare la competenza al Comune, si bacchetta il mittente per l’uso improprio del termine “Oasi”, poiché questo si dovrebbe usare solo quando di parla di Oasi Faunistico Venatorie riconosciute, cosa che il Poggetto (ahimè) non è.

Anche se questo reimpianto promesso dovesse verificarsi (a oggi la situazione è esattamente identica), non c’è tema di smentita dicendo che l’Oasi è ora irrecuperabile dal punto di vista naturalistico. Impensabile che si possano ripristinare tutti gli ecosistemi perduti, per non parlare dell’ecatombe di singole specie che, ricordiamolo, erano in pieno periodo riproduttivo quando sono iniziati i lavori.

Ora, dopo che tutto questo è scomparso, sulle macerie cresce la soia, che per due anni preparerà adeguatamente il terreno per accogliere mele e pere.

Saranno biologiche?

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Stefano Dalla Casa
Giornalista e comunicatore scientifico, mi sono formato all’Università di Bologna e alla Sissa di Trieste. Scrivo abitualmente sull’Aula di Scienze Zanichelli, Wired.it, OggiScienza e collaboro con Pikaia, il portale italiano dell’evoluzione. Ho scritto col pilota di rover marziani Paolo Bellutta il libro di divulgazione "Autisti marziani" (Zanichelli, 2014). Su twitter sono @Radioprozac