AMBIENTE

Lo scontrino, signora.

I danni alla salute del bisfenolo A, presente nelle materie plastiche a uso alimentare, sono noti dagli anni Trenta e nell’Unione Europea la sua assunzione giornaliera non deve superare 0,05 microgrammi al giorno per ogni chilo di peso. Il limite pare rispettato, come mai ne eliminiamo di più?

AMBIENTE – Questa volta non sembra proprio colpa dell’industria alimentare. Anche negli Stati Uniti, risulta da una ricerca di Arnold Schechter dell’università del Texas et al. pubblicata su Environmental Science and Technology, su 105 tipi di alimenti confezionati in lattine, barattoli, vaschette, pellicole, 63 contengono livelli di bisfenolo Ada 500 a 1000 mille volte inferiori al massimo previsto dalla regolamentazione. Così però i conti non tornano. Nell’urina, sia gli americani che gli europei ne eliminano ben più di 0,05 microgrammi. Non siamo noi a metabolizzarlo e in natura non esiste. In compenso nella vita quotidiana lo incontriamo spesso, per esempio riveste la carta termica sulla quale i registratori di cassa stampano gli scontrini.

Nella rivista Chemosphere, il tossicologo Daniel Zalko et al. dell’Istituto nazionale per la ricerca agronomica francese scrivono che viene assorbito “efficacemente” dalla pelle umana nella quale si diffonde il 46% della quantità rimasta a contatto e il 67% in quella di orecchio maiale (non che raccolga scontrini, la sua pelle è stata usata per calibrare gli strumenti e come controllo).

Lo confermano su Environmental Health Perspective, Joe Braun e i suoi colleghi di Harvard che  hanno analizzato le urine di donne nel corso della gravidanza. La concentrazione superava il microgramma e aumentava fino al  parto in particolare nelle madri che mangiavano verdure in lattina, nelle quali infatti Arnold Schecter ha trovato bisfenolo A. Ma per le cassiere era in media di 2,8 microgrammi, per le insegnanti di 1,8 e per le operaie “soltanto” di 1,2.

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