CRONACA

Come si fa a vedere la quinta dimensione?

Usare le lenti gravitazionali per provare l’esistenza di nuove dimensioni dell’Universo. Ci stanno provando gli scienziati dell’Università della Pennsylvania

NOTIZIE – Non sono una fisica (e si vede, dirà qualcuno). Per capire certi concetti ho bisogno di metafore. Quella che ho sempre usato per farmi un’immagine mentale di dimensioni al di là delle quattro canoniche la rubo al libro del reverendo Edwin Abbott Abbott (il romanzo non è nuovissimo,  in effetti, del XIX secolo), Flatlandia. Nalla storia gli abitanti di  un mondo bidimensionale (dei poligoni) quando incontrano una sfera possono vederla solo come cerchio, ma alcune anomalie del suo comportamento, o meglio della sua apparenza (il fatto di allargarsi e restringersi quando si muove nella terza dimensione, invisibile ai poligoni), fanno loro intuire che c’è qualcosa che  sfugge. Anche gli scienziati usano delle “anomalie” per comprendere se il nostro Universo sia in realtà composto da più dimensioni di quelle che possiamo osservare con i nostri limitati sensi. Un lavoro di recente pubblicato su  Physical Review D propone un nuovo test che misura come la gravità di oggetti celesti massivi (un buco nero per esempio) piega la luce proveniente da stelle distanti (fenomeno noto col nome di “lente gravitazionale”). Secondo gli autori dello studio questo test potrebbe fornire la prova dell’esistenza di dimensioni ulteriori.

Proprio come i poligoni di Flatlandia osservavano le strane distorsioni delle forma della sfera nel loro mondo bidimensionale, Amitai Bin-Nun, astrofisico teorico dell’Università della Pennsylvania, e colleghi hanno osservato gli effetti di una lente gravitazionale sulle stelle che orbitano intorno a Sagittarius A*, (una fonte radio al centro della Via Lattea). Questo corpo celeste è stato scelto perché si trova nell’area centrale della nostra galassia, e si pensa che celi un buco nero.

“Abbiamo scoperto che se il nostro Universo è realmente descritto da una teoria che incorpora altre dimensioni, la luce che passa vicino al buco nero al centro della galassia dovrebbe apparire più intensa di quello che farebbe se invece vivessimo in un Universo con solo le dimensioni che già conosciamo,” ha spiegato Bin-Nun.

Il forte effetto gravitazionale del buco nero distorce la luce che arriva dalle stelle intorno a Sagittarius A* prima che arrivi sulla terra, creando immagini multiple dei corpi celesti.  Per ogni stella, Bin-Nun ha osservato che la brillantezza dell’immagine secondaria cambia nel tempo e arriverà al suo massimo quando la stella sarà più o meno allineata con Sagittarius A*.

Lo scienziato ha anche calcolato la curva di luminosità di ogni stella nel futuro, assumendo per vero un modello di Universo a cinque dimensioni (quello detto di Randall-Sundrum II). Se questa descrizione dell’Universo fosse corretta, per esempio una delle immagini secondarie delle stelle prese in considerazione dovrebbe raggiungere il 44% in più di luminosità nel 2018. Se così non succedesse, il modello di Universo a sole 4 dimensioni allora apparirebbe più sensato.

In realtà il lavoro ha numerosi punti deboli teorici (e anche pratici, per esempio per quel che riguarda gli strumenti per misurare la luminosità delle stelle e delle immagini raddoppiate), ma l’intuizione di usare le lenti gravitazionali come uno strumento per sbirciare dentro a un mondo a più dimensioni potrebbe rivelarsi geniale.

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Federica Sgorbissa
Federica Sgorbissa è laureata in Psicologia con un dottorato in percezione visiva ottenuto all'Università di Trieste. Dopo l'università, ha ottenuto il Master in comunicazione della scienza della SISSA di Trieste. Da qui varie esperienze lavorative, fra le quali addetta all'ufficio comunicazione del science centre Immaginario Scientifico di Trieste e oggi nell'area comunicazione di SISSA Medialab. Come giornalista free lance collabora con alcune testate come Le Scienze e Mente & Cervello.