COSTUME E SOCIETÀ

Più brave in fisica con un po’ di psicologia

COSTUME – Un semplice esercizio scritto che permette focalizzare i propri valori e il senso del sé aiuta a ridurre le differenze di genere nelle performance di studenti universitari di fisica

No, non è una questione di capacità differenti: è stato detto e ripetuto, e ormai è tempo di darlo per scontato. Se le ragazze sono poco inclini a scegliere corsi universitari in fisica, matematica o ingegneria e se, dopo la laurea, fanno più fatica dei maschi a fare carriera, non è certo perché siano meno “portate”. Eppure queste differenze esistono, come esiste il fatto che, in molti paesi, in certe discipline le ragazze tendano ad avere voti peggiori. Succede negli Stati Uniti con la fisica: agli esami finali del corso introduttivo di fisica dell’Universitò di Boulder in Colorado, per esempio, le ragazze ottengono risultati in media peggiori dei ragazzi. In parte c’entra il fatto che le prime arrivano dalle scuole superiori con una preparazione scientifica più carente dei secondi, ma questo non basta a spiegare le differenze. E se le capacità non c’entrano, allora che cosa c’entra?

Per provare a rispondere a questa domanda lo psicologo Miyake, del dipartimento di psicologia e neuroscienze dell’Università di Boulder, ha fatto un semplice esperimento con 399 studenti del corso introduttivo di fisica (283 maschi e 116 femmine) della sua università. I ragazzi (di entrambi i sessi) sono stati invitati dai propri docenti a svolgere un esercizio (presentato come un innocuo esercizio di scrittura) su una lista di 12 valori (legame con la famiglia, amicizia, conoscenza e cultura e così via). A metà circa dei partecipanti (sia maschi sia femmine) è stato chiesto di scrivere qualcosa sui valori che sentivano come più importanti; all’altra metà è stato invece chiesto di elencare i valori che sentivano come meno importanti e di scrivere che cosa potrebbero pensarne gli altri. Insomma: i primi dovevano focalizzarsi su sé stessi, i secondi su altro. L’esercizio è stato sottoposto ai ragazzi due volte: una all’inizio del corso e una alla fine, una settimana prima degli esami.

Con i voti delle prove alla mano, Miyake e colleghi hanno scoperto che, tra studentesse e studenti del primo gruppo (quelli che avevano ragionato sui valori che sentivano vicini), la differenza di genere nell’esito delle prove finali si era notevolmente ridotta rispetto al secondo gruppo, e tra le ragazze era aumentata la percentuale di chi aveva ottenuto buoni voti. Erano dunque bastati pochi minuti a concentrarsi sul proprio sé, sui propri valori, per migliorare le performances universitarie, come hanno raccontato i ricercatori oggi su “Science”. Ma perché si verifica questa associazione? Probabilmente perché l’esercizio aiuta le ragazze a spezzare quel malefico circolo che le porta a sottostimarsi.

Si parte dallo stereotipo negativo sulle capacità femminili nelle materie scientifiche (“le femmine sono meno brave dei maschi in matematica e fisica”): sotto il peso di questo stereotipo, e dunque sotto un notevole stress, le ragazze finirebbero per non dare il massimo negli esami, ottenendo risultati mediocri o pessimi che non farebbero altro che rinforzare lo stereotipo stesso. E invece fermarsi a pensare ai propri valori, a quanto conta davvero indipendentemente dal giudizio degli altri, permetterebbe di allontanarsi da quello stereotipo, e di affrontare le prove più serenamente, ottenendo risultati migliori che, a loro volta, incrementerebbero l’autostima. Innescando così un contro-circolo positivo. In effetti, l’esercizio ha funzionato soprattutto per le ragazze, che in un questionario indipendente somministrato prima dell’inizio del corso, avevano mostrato maggior adesione allo stereotipo negativo.

Ovviamente risultati dello studio di Miyake non sono uno strumento di autoaiuto da utilizzare prima di un esame di fisica: più che ai singoli, “parlano” alla comunità scientifica, invitandola ad aggiungere un nuovo tassello al complesso mosaico delle differenze di genere nella scienza. Se si vuole superarle davvero, gli strumenti di apprendimento (più corsi, più approfondimenti, più esercizi), per quanto importanti, non bastano: bisogna lavorare anche sul contesto sociale e psicologico in cui l’apprendimento avviene.

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Valentina Murelli
Giornalista scientifica, science writer, editor freelance