AMBIENTECOSTUME E SOCIETÀECONOMIA

Come e perché parlare di global warming

Intervista ad Anabela Carvalho, Professoressa del Dipartimento di Scienze della Comunicazione dell’Università di Minho (Portogallo), intervenuta a MAPPE, il IX convegno nazionale di comunicazione della scienza

Ascolta l’intervista integrale ad Anabela Carvalho (in inglese)

INTERVISTA – Diciamolo pure: mentre fino a circa un decennio fa parlare di sostenibilità ambientale o più in generale di ecologia era considerato da molti “roba da hippy”, ora l’argomento è diventato addirittura di moda. Perché? Certo, è facile rispondere che il cambiamento climatico è sotto gli occhi di tutti, che c’è una nuova sensibilità sociale e politica, che l’urgenza di una virata nelle pratiche di consumo è evidente, ma sotto il punto di vista dell’analisi comunicativa non è sufficiente. Anabela Carvalho, docente del Dipartimento di Scienze della Comunicazione dell’Università portoghese di Minho, da anni si occupa dell’analisi delle implicazioni massmediatiche nella comunicazione di argomenti riguardanti il global warming.

Durante il suo intervento a Mappe, il IX convegno nazionale di comunicazione della Scienza che si è recentemente svolto alla SISSA, ha tracciato un quadro di come il cambiamento climatico venga affrontato nelle news.

Secondo la Carvalho, data l’estrema complessità, il tema rappresenta una sfida per il lavoro giornalistico, e nonostante tutto dall’inizio del Ventunesimo secolo è stato un argomento particolarmente privilegiato dai media. I toni vanno dal diniego all’allarmismo, e ultimamente si è assistito a un inasprimento delle posizioni estreme, quelle di chi grida alla fine del mondo e di chi rinnega con forza ogni evidenza scientifica del riscaldamento globale. Due posizioni che non consentono di affrontare in modo sereno e costruttivo un problema complesso e di non facile soluzione, e qui entrano in scena le pratiche giornalistiche. Se un eccesso d’allarme fa scattare l’effetto “al lupo al lupo”, puntare tutto su una comunicazione asettica e informativa rischia di far calare l’interesse. Inevitabilmente la soluzione si trova nel mezzo, ma non è affatto facile, visto che i ritmi e le logiche massmediatiche rispondono a picchi e decrementi d’attenzione.

“Durante un periodo di crisi finanziaria come questo – spiega la Carvalho – lo spazio dedicato ai temi legati al cambiamento climatico si riducono, perché non rappresentano conseguenze immediate. L’attenzione giornalistica si rivolge piuttosto alle urgenze del mondo del lavoro. Le ricerche dimostrano che la sostenibilità ambientale ha maggiore rilevanza durante periodi di benessere economico, perché l’argomento è percepito come qualcosa di accessorio, come un bene di lusso: se non abbiamo problemi urgenti allora possiamo affrontarlo”. In realtà tutto fa pensare che in tempi di crisi sia più facile parlare di riduzione dei consumi in un ottica di salvaguardia ambientale, semplicemente perché i consumi vengono ridotti per necessità. “In effetti – conferma la Carvalho – si sta assistendo a una sorta di effetto benefico della crisi per quanto riguarda la riduzione delle emissioni, ma ciò accade soprattutto in Occidente. Il tutto viene poi compensato dalla crescita della Cina. In ogni caso non credo sia facile parlare di riduzione dei consumi proprio in virtù della diminuzione degli stessi a causa della crisi”. Anabela Carvalho fa notare che oltre alla riduzione dei consumi, i governi dovrebbero investire maggiormente nella ricerca di nuove forme di trasporto e produzione energetica, e in questo l’empasse finanziario globale di certo non aiuta. In questo momento, d’altra parte, a livello europeo la percezione pubblica non è favorevole all’investimento di fondi governativi per scopi di non immediata necessità, stando ai dati della Carvalho. E qui ritorniamo alla comunicazione: mantenere alto il livello d’attenzione spaventando la gente non è sicuramente la strada migliore, perché, non essendoci conseguenze immediate (dal giorno alla notte), si rischia di ottenere l’atteggiamento opposto: il menefreghismo. Una strada può essere invece quella di raccontare la situazione attuale, come nelle varie parti del mondo si reagisce ai problemi climatici adottando pratiche interessanti. “Siamo portati comportarci correttamente se sappiamo che gli altri lo stanno già facendo”, spiega la Carvalho.

Tuttavia, in parte anche a seguito dello scandalo che recentemente ha coinvolto l’IPCC, non sempre i media sono percepiti come neutrali. “Ci sono diversi tipi di pubblico – precisa Anabela Carvalho – c’è chi si informa di più e chi meno, ma in linea generale si può affermare che c’è un aumento di scetticismo nei confronti dei media, ma se ciò si traduce in una maggiore attenzione dei dati e delle fonti è sicuramente un bene”.

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